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Mamme italiane? La dolce attesa può attendere

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Azzurra Barbuto
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Altro che terra dei mammoni, l’Italia è il Paese delle mammone, ossia quello in Europa con il più elevato numero di donne che mettono al mondo bimbi tra i 40 ed i 50 anni. L’arrivo di un figlio nel Belpaese è un lieto evento della vita sì, ma che può essere pure rimandato a data da destinarsi. Ecco perché abbiamo le madri primipare più “vecchie” del continente dopo quelle ispaniche (da noi 8,6%, in Spagna 8,8%): non concepiscono il primo pargolo allorché sono in età fertile, bensì quando si trovano in procinto di non esserlo mai più, dunque prima che sia troppo tardi e in un periodo della esistenza in cui una volta si era già nonne con tanto di scialle e borsa calda. Dai dati raccolti da Eurostat risulta che nel 2017 nella nostra penisola hanno partorito 15.997 signore tra i 40 ed i 45 anni, 2.145 tra i 45 ed i 50 e 306 (cioè quasi una al giorno) con oltre 50 anni. Di contro, il numero più alto di mamme di età compresa tra i 15 ed i 19 anni si trova nel Regno Unito (14.749) ed in Romania (12.641).

Nei 28 Paesi membri dell’UE, nel 2017, la maggior parte delle nascite è avvenuta da genitrici tra i 25 ed i 29 anni (723.496), la Francia conquista il podio con 118 mila, segue la Germania con 116.509. Dunque, alle fanciulle nostrane non interessa particolarmente figliare prima dei 40, nonostante che la famiglia, il culto del matrimonio nonché il rispetto delle tradizioni, soprattutto nel Mezzogiorno, siano valori molto sentiti. Forse restiamo figlie troppo a lungo, servite e riverite in casa dei genitori, per compiere il grande passo che ci renderà pienamente adulte costringendoci a prodigarci nei confronti di un piccolo che ha bisogno di tutte le nostre cure. O forse, cresciute al fianco di madri che si sono spesso annullate per marito e prole, abbiamo deciso di piazzare al primo posto noi stesse e la nostra realizzazione professionale, posticipando la maternità al momento in cui saremo certe di avere edificato qualcosa di concreto in ambito lavorativo. Il che non è una cattiva idea. Un bambino non rappresenta un limite capace di affossare la carriera di una persona, tuttavia chiunque abbia pargoletti sa bene che conciliare vita privata e attività lavorativa richiede doti da equilibrista. Ed il senso di colpa è sempre lì, dietro l’angolo, pronto a braccarci ogni volta che rincasiamo e il piccolo già dorme e non abbiamo potuto dargli il bacio della buonanotte, o quando, divenuto un po’ più grandicello, ci rimprovera di non esserci mai all’occorrenza. Se una volta divenire madri era l’obiettivo fondamentale dell’esistenza, oggi non lo è più. Si mette in conto e quindi si accetta l’eventualità di non rendere produttivo il proprio ventre nella maniera in cui ci è stato mentalmente imposto da sempre. Non siamo più sostenitrici accanite della maternità a qualsiasi costo, pena disperazione e senso di inutilità. Non finiamo con il metterci accanto qualsiasi individuo maschio pur di contribuire alla perpetuazione della specie.

Non accettiamo più di percepirci quali prosciutti con data di scadenza, quali ci fece sentire la campagna sulla fertilità promossa dal ministero della Salute nell’estate del 2016: “La bellezza non ha età. La fertilità sì”, mirante ad indurci a mettere in cantiere un bimbetto prima dei 30 anni. Ignorando il fatto che un figlio si genera non all’età “giusta” ma nel momento migliore e con il partner idoneo, in grado di essere un buon compagno e un ottimo padre. Il ministero spiegava: “La fertilità della donna risulta massima tra i 20 ed i 30 anni, poi decresce in modo repentino dopo i 35, fino ad essere prossima allo zero già diversi anni prima della menopausa”. Ma a quanto pare si tratta di un allarme apocalittico insensato visto che le italiane che partoriscono dopo i 40, i 45 e persino dopo i 50 sono cospicue. La gestazione “tardiva” non è neanche frutto di manipolazioni mediche particolari, bensì un fatto naturale. La mamma dello scrittore Luciano De Crescenzo ebbe il primo ed unico figlio a 50 anni. Era convinta di essere sterile e poi si ritrovò con il pancione. E restò sbalordita allorché il medico le comunicò che non era affatto malata, come credeva, ma soltanto all’ottavo mese.

Una gravidanza negli anta inoltre ha un grande vantaggio: fa ringiovanire di uno o due decenni. Uno studio condotto dall’Università dello Utah ha rilevato altresì che le femmine che danno alla luce già cinquantenni tendono a campare più a lungo. Prorogare sembra che giovi pure al portafoglio. Alcuni ricercatori statunitensi hanno rilevato che gli incassi di una donna lievitano dal 9 al 10% ogni anno che tarda nell’avere un neonato.

Insomma, la dolce attesa può attendere.

di Azzurra Barbuto

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