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Mascherine, addio? Che bello rivederci in faccia, ma ora cerchiamo di non perdere la testa

Giordano Tedoldi
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 La mascherina che, all'inizio della pandemia, quando ancora non avevamo capito quanto funesto fosse il morbo, sfoggiavamo con civetteria, facendoci sel fie quasi fosse un capo d'abbigliamento venuto di moda, un costume da carnevale veneziano fuori stagione, e che pian piano è diventata il simbolo della nuova peste venuta dall'Oriente, e che in questi ultimi mesi, con il gran caldo, non soffriamo più di portare, questa "museruola" come la chiamano molti e con la quale è difficile farsi capire perché smorza anche la voce, a breve finalmente saremo autorizzati a togliercela.

Non la vedremo più sbandierare da orecchie e gomiti, calata sul mento da chi si concede una boccata di sigaretta all'aperto, e soprattutto non ci sentiremo più in colpa a passeggiare in una strada solitaria senza di essa, come invece ci è capitato nei mesi più duri del lockdown, quando si viaggiava sui centinaia di morti al giorno e il maledetto virus sembrava trasmettersi in mille modi: toccando superfici infette, nei colpi di tosse e negli starnuti, e addirittura persistendo nell'aria, e la mascherina era l'unico baluardo alla sua infiltrazione, oltre a lavarsi continuamente le mani. Se il destino non ci riserva qualche altro brutto tiro, l'era della mascherina volge al termine. Nei suoi mille tipi, con mille sigle incomprensibili, di stoffa o griffata, questo accessorio salvavita tornerà a essere indispensabile soltanto presso i medici, e tutti gli altri potranno gridare all'aperto e, sperabilmente, anche al chiuso: «Libertà!».

 

 

 

 

Eh sì, inutile negarlo, questa pandemia non è stata solo una catastrofe sanitaria, ma anche la misura di quanto sia preziosa la libertà. Libertà di uscire, di ridere, di parlare a un amico che ci siede di fronte al tavolino di un bar, di baciarci, di gridare, di girare per un negozio senza che un solerte cittadino ci intimasse: «Ha il naso scoperto, si tiri su la mascherina», e invece di rispondergli di farsi i casi suoi, abbiamo chiesto scusa e obbedito, perché sapevamo che il solerte cittadino aveva ragione (anche se poteva essere più cortese, meno poliziesco) e noi torto. Spesso abbiamo creduto di parlare di profilassi, di salute pubblica, e invece, in fondo, discutevamo del diritto a non vedere calpestate la propria privacy e la propria libertà. Adesso, il piccolo commissario della virtù che si nasconde in ognuno di noi aggredirà altri temi (probabilmente quello dei vaccini, e sarà tutto un inquisire: l'hai fatto il vaccino? E il richiamo? No? E che aspetti, untore!) ma nessuno potrà più scrutarci per controllare se indossiamo la mascherina del tipo giusto nel modo giusto, e finalmente potremo respirare aria non filtrata, chi ha gli occhiali non dovrà abbassarsela ogni due minuti per spannarli, potremo tutti tornare a parlare senza sembrare membri di una gang pronta a fare il colpo del secolo.

Libertà, dunque. Ma attenzione, siamo italiani, storicamente ci siamo dimostrati parecchio inetti nel fare uso di diritti e doveri. Sia benvenuta la fine dell'era della mascherina e il ritorno alle facce intere, evviva le labbra direttamente baciabili, ma cerchiamo di non svaccare, per dirla in gergo. Non ne siamo ancora completamente usciti, il virus langue ma muta, esistono varianti insidiose e, anche se i vaccini sono ritenuti una valida protezione anche per esse, è opportuno che da questa logorante tirannia della mascherina traiamo qualche insegnamento. Adesso è proprio il momento di essere più responsabili e di non compromettere la chiusura della partita con il Covid.

 

 

 

I ragazzi, lo sappiamo, non li ferma niente e nessuno, inutile fargli la predica raccomandando di evitare assembramenti, di stiparsi come sardine nei locali, di berciarsi addosso con gli occhi lucidi di alcol; tra loro i comportamenti razionali saranno sempre un'esigua minoranza. Ma dagli adulti ci aspettiamo che facciano rispettare alcune regole di buon senso, che provvedano a far mantenere le distanze raccomandate, e che non permettano che ci si torni a comportare come se nulla fosse accaduto. Siamo i primi a comprendere che la voglia di spezzare le catene, dopo un anno e mezzo di schiavitù, è incontenibile, ma bisogna restare lucidi. Togliamoci la mascherina, ma non perdiamo la testa.

Il ritorno alla vita di prima deve essere graduale e prima di abbandonarci alla promiscuità più dionisiaca nelle piazze o nelle feste, al mare o nelle discoteche, ricordiamoci di quello che è accaduto l'estate scorsa, quando la piaga sembrava estinta, e invece è tornata a mordere ferocemente in autunno. Abbiamo sacrificato tanto (forse troppo) della nostra libertà a questo maledetto virus, siamo diventati tutti un po' paranoici e di certo più fragili e confusi, ora deponiamo lo scudo ma non illudiamoci che la guerra sia di colpo finita. 

 

 

 

 

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