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Tokyo 2020, medaglia di legno a Giovanni Malago: perché lo ius soli sportivo non serve a nulla

Alessandro Giuli
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Giovanni Malagò si candida a vincere il premio “razzista involontario 2021”. Invece di godersi come noialtri la strepitosa prestazione olimpionica degli azzurri, il presidente del Coni va reclamando da giorni l’istituzione di un improbabile e forse incostituzionale “ius soli sportivo”. Anche ieri è tornato a bomba sull'argomento: «La nostra proposta è quella di anticipare l'iter burocratico per lo ius soli sportivo, che a oggi è infernale, un girone dantesco». E perché, di grazia? «È vero che a 18 anni puoi fare quello che vuoi - argomenta lui - ma se aspetti il momento per fare la pratica hai perso una persona. A volte ci sono tre anni di gestazione e nel frattempo, se l'atleta non ha potuto vestire la maglia azzurra, o smette o va nel suo Paese di origine o ancora peggio arriva qualche altro Paese che studia la pratica e in un minuto gli dà cittadinanza e soldi».

 

 

CHI È RIMASTO FUORI?
Malagò è in buona fede, naturalmente, la vittoria di Jacobs nei 100 metri ha scatenato il suo lato migliore e tuttavia non può ignorare alcune circostanze dirimenti. La prima è che secondo la legge italiana dal compimento del decimo anno di età è già possibile tesserare minori stranieri regolarmente residenti in Italia, i quali una volta divenuti 18enni potranno ottenere la cittadinanza. Dopodiché la denuncia relativa all'iter, ancora lento e labirintico, per ottenere la nazionalità italiana deve valere per qualsiasi straniero, indipendentemente dalle qualità atletiche. Oltretutto, stando ai canoni di Malagò, bisogna pure spiegare quale irrinunciabile campione straniero è rimasto a casa privando l'Italia di altre luccicanti medaglie. Si potrebbe anzi obiettare con facilità che proprio grazie all'attuale legislazione i nostri giovani sono capaci di stupire il mondo senza curarsi di altri colori che non siano quelli della bandiera. Paradossalmente, il nostro medagliere fotografa una realtà multietnica già consolidata e di successo. C'è bisogno di costruirci sopra una sinfonia autocolpevolizzante e un po' conformista? Ma qui entriamo nel vivo della questione. Sostenere, come fa il numero uno del Coni, che «non riconoscere lo ius soli sportivo è folle» significa rimpicciolire un tema dalle fortissime implicazioni culturali e civili vincolandolo agli esiti di una competizione sportiva: e se la variopinta delegazione italiana fosse arrivata ultima in classifica, avremmo dovuto rassegnarci al fallimento d'ogni forma di integrazione? Ma per favore...

 

 

IL DIBATTITO
E poi, a ben guardare il bilancio consuntivo di Tokio 2021, si scopre che sul podio troneggiano in ordine decrescente Stati Uniti, Cina e Giappone. Ebbene, i due Stati asiatici non hanno mai brillato storicamente per la loro permeabilità nei confronti delle immigrazioni e delle culture straniere più lontane (se è per questo, Pechino è sotto giudizio internazionale per le sue discriminazioni etnico-religiose); quanto all'America multirazziale (si dice così, fermo restando che le razze non esistono), è al centro di un gigantesco processo globale per via delle asimmetrie sociali che ne incendiano le periferie metropolitane. In tre parole: Black Lives Matter! Dovremmo perciò trarne conclusioni generali sconsolanti? No: anche in questo caso è sbagliata l'unità di misura, che non è lo sport ma il senso universale di civiltà calato nelle esigenze e nelle possibilità pratiche di ciascuno Stato. Se si vuole davvero aprire un dibattito serio e profondo sullo ius soli (possibilmente intrecciato allo ius culturae), sarebbe opportuno abbandonare ogni demagogia, lasciare in pace il medagliere internazionale e riconoscere che la cittadinanza (italiana, europea, occidentale e via così) oltreché un fatto biologico è una conquista culturale quotidiana per tutti, compresi i nativi. E che l'Italia è già di suo il magnifico prodotto di un genus mixtum originato da popolazioni antiche etnicamente differenti, aperto all'ingresso dell'"altro da sé" come forma di arricchimento. Anche per questo i nostri intelletti, così come i nostri atleti, primeggiano liberamente nel mondo.

 

 

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