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Roberto Speranza, l'ultima sparata sul Covid costa cara: "Deve tacere", la rivolta dei virologi

Roberto Speranza

Claudia Osmetti
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Forse il ministro della Salute, Roberto Speranza (Leu), pensa di trovarla nell'uovo di Pasqua, la soluzione. Ché qui, ogni giorno che avanza, la matassa s' ingarbuglia. "Ste benedette (si fa per dire) mascherine ce le porteremo ancora un po". Almeno fino a domenica perché, dice Speranza, «in questo momento sono essenziali». Poi, scavallate le festività, e c'è pure il lunedì di fuori-porta, sia mai che ce lo godiamo in santa pace, chissà. Mica possiamo saperlo: «Nell'ultima decade di aprile faremo un'ulteriore valutazione coni nostri scienziati e decideremo». Eccololà. Ci risiamo. O meglio, ci rimandiamo. Dovevamo dismetterle il primo maggio, le mascherine, era addirittura scritto nel decreto che metteva al bando lo stato d'emergenza, e invece no. Ce le ritroviamo sul groppone. Pardon, sul naso.

 

 

 

ALTROVE

Adesso chi glielo spiega, al ministro Speranza, che in Spagna, tanto per fare un esempio, dal 19 aprile non se ne vedranno più? Chi glielo fa notare che i greci stanno sforbiciano sul green pass e sui tamponi nelle scuole e che anche da noi c'è chi è stufo di girare con le narici coperte (toglile per strada, mettile sul tram; toglile a casa, rimettile al ristorante) e ne farebbe volentieri a meno? Gli irriducibili della Ffp2 son pochini, circa il 10%. Nel senso che una ricerca dell'associazione Donne e qualità della vita sostiene che appena un italiano su dieci continuerà ad indossarle anche dopo la fine dell'obbligo. Uno che l'ha detto fuori dai denti è il virologo Andrea Crisanti: «Dal punto di vista epidemiologico far tenere la mascherina in classe è una scelta inutile». Primo perché i ragazzi, appena possono, se ne sbarazzano e secondo perché di risultati concreti, almeno lì, in classe, nisba. Un altro che non ne ha mai fatto mistero è il direttore della Clinica di malattie infettive del Policlinico di Genova, Matteo Bassetti: «È da un anno e mezzo che in Italia c'è l'obbligo al chiuso e non vedo questo imparo sui contagi. Anzi, molti si contagiano e l'hanno usata in maniera maniacale». Sor ministro, ha ripetuto che voleva ascoltare gli scienziati ed è accontentato.

FRAGILI

D'accordo, i soggetti fragili. D'accordo le situazioni a rischio (forse forse, lo ammettiamo anche noi, sui tram e sui bus se ne può ancora discutere). Ma i bollettini parlano chiaro: ieri abbiamo contato 62.037 nuove infezioni da covid-19, 21.606 in meno rispetto a martedì. E stanno diminuendo anche i ricoveri nei reparti ordinari (meno 41 in ventiquattr'ore) e i pazienti intubati in intensiva (meno quattordici) e le vittime (in un giorno si contano quattordici decessi in meno). Non sta andando malissimo. Non è uno scenario apocalittico. Nel peggiore dei casi ci stiamo stabilizzando, nel migliore c'è persino un certo margine di progresso. Invece no, invece dobbiamo aspettare Pasqua. Neanche. Ci tocca attendere il dopo Pasqua. Per capire, tra l'altro, in cosa incapperemo nel dopo maggio. Che viene sempre dopo rispetto agli altri (vedi Spagna e Grecia), i quali intanto fanno il pienone di turisti e tanti saluti.

 

 

 

QUARTA DOSE

Non siamo degli sconsiderati. Che la mascherina (un po' come il vaccino) ci abbia salvato la pelle, l'abbiamo capito. Però mentre le notizie si accavallano (all'ospedale Pugliese di Catanzaro, ieri, hanno scoperto una "rigenerazione" del virus, e l'hanno chiamata Xl; si parte con le prenotazione perla quarta dose agli ultra-ottantenni; il 91,44% almeno una punturina se l'è fatta inoculare), niente. Il ministero della Salute si barrica dietro la sua (ormai storica) cautela: «Credo che le mascherine oggi siano un presidio fondamentale», specifica Speranza, «noi le raccomandiamo con forza in tutte le occasioni, anche all'aperto, dove ci sono possibilità di assembramenti. Come sempre valuteremo l'evoluzione della curva epidemiologica». 

 

 

 

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