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Marmolada, la strage: ecco perché il ghiaccio è esploso

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Una tragedia annunciata, certo. Ma non ci sarebbe stato modo comunque di evitare la morte assurda di nove persone schiacciate dal ghiaccio che si è staccato ieri dalla Marmolada. Ne è convinto Luca Mercalli, presidente della Società meteorologica italiana, climatologo, divulgatore che dalle pagine del Fatto Quotidiano spiega cosa è successo domenica. "Prevedere con precisione luogo e modalità di un simile evento non era possibile", puntualizza Mercalli sottolineando che "certamente lo stato critico di tutti i ghiacciai per la carenza di neve e il caldo anomalo costituivano elementi di ulteriore prudenza per gli alpinisti, ma si sarebbero dovuti chiudere i ghiacciai di tutte le Alpi, dalla Francia all'Austria, a scopo preventivo, un provvedimento irrealistico. Resta il fatto che il caldo inedito aumenta i rischi dell'alta montagna".

 

 

Quanto alla causa scatenante del tragico distacco occorso presso la Punta Rocca della Marmolada, attorno a quota 3.200 metri, Marcalli sostiene che sia stato causato dalle alte temperature di questi giorni "con zero termico che da una settimana è oltre i 4.000 metri con punte di 4.700 m a mezzogiorno di sabato 2 luglio, e più di una decina di gradi a 3.000 metri giorno e notte, può essere stato il fattore scatenante per l'accumulo di acqua di fusione penetrata nei crepacci". Dalle prime immagini il settore di ghiaccio crollato sembra aver esposto un'ampia zona di roccia del substrato sottostante. Di norma i seracchi si staccano collassando per il movimento su se stessi indotto dalla pendenza, ma il ghiaccio basale rimane incollato alla roccia per via delle temperature che dovrebbero essere sotto lo zero.

 

 

Il caldo avrebbe generato dunque "un intenso ruscellamento superficiale con formazione di sinuosi canali detti bédières che quando trovano un crepaccio convogliano l'acqua fino al fondo roccioso, dove accumulandosi in sacche genera sottopressioni in grado di far letteralmente esplodere il ghiaccio che la contiene, lubrificandone anche lo scorrimento basale sulla roccia". Una dinamica simile, ricorda Mercalli, "si era verificata oltre trent'anni fa sul Ghiacciaio superiore di Coolidge annidato sulla parete nord del Monviso. La sera di giovedì 6 luglio 1989 gran parte del piccolo ghiacciaio sospeso per un volume di 200.000 metri cubi si scollava dal circo roccioso che lo ospitava precipitando a valle". Allora non ci furono vittime soltanto grazie all'ora tarda, mentre sulla Marmolada il crollo avvenuto in pieno giorno di una domenica ha colpito in uno dei momenti con la massima presenza di alpinisti.

 

 

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