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Social, like sbagliato e si scatena l'inferno: cosa può succedere

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Claudia Osmetti
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Un "like". Quella spunta sui social: "mi piace", adesso ci sono pure i cuoricini. Ché spesso manco lo leggi, il commento sul quale fai click. Invece ci sono coppie che litigano, per il "like" sbagliato su Instagram o su Whatsapp o su Twitter. Coppie che vanno dall'avvocato, che scoppiano e che arrivano addirittura alle mani. Trincase, cittadina di poco più di 17mila anime in provincia di Lecce, Puglia. Un ragazzo di diciannove anni è indagato per stalking e lesioni, il tribunale gli impone il divieto di avvicinamento alla sua ex e tutto nasce proprio da uno di quei "like". Un apprezzamento, probabilmente innocente, che lei si ritrova su Facebook. Ha appena pubblicato una foto. È lunedì il 17 ottobre: un amico mette "mi piace" e scoppia il parapiglia.
Il 19enne le strappa il cellulare di mano. Un'occhiata, veloce.

 


L'ira che gli ribolle dentro. Inizia a picchiarla. Non è solo per questo che lei sporge denuncia. C'è la gelosia (ossessiva) di lui che dal luglio del 2021 le impedisce di vedere le amiche; c'è un secondo telefonino, rotto, durante un altro litigio; c'è quel lavoro da cameriera in un bar della zia che lei non può fare a meno che non vengano assunti assieme; ci sono le continue richieste di soldi, il ricatto morale («se non mi aiuti è perché non mi vuoi bene»). Però quel "like" è la goccia che fa slabbrare il vaso, è il punto di non ritorno. Ed è che, nel 2022, tutto quello che passa attraverso un computer ci sta condizionando la vita al limite dell'assurdo.

 


Internet ci doveva semplificare la vita, non rovinarcela definitivamente. Non c'è divorzio in cui, ormai, non entrino i social: secondo un recente report dell'azienda di consulenza Deloitte quasi un italiano su tre (ossia il 27%) bisticcia con la propria moglie o il proprio marito perché passa troppo tempo nel maremagnum di Facebook. Qualche anno fa Russell Clayton, che all'epoca era un dottorando dell'università del Missouri, negli Usa, ha scoperto che gli utenti più attivi a cinguettare su Twitter erano anche quelli più propensi a dire addio alle loro vite matrimoniali.


Secondo un altro studio della piattaforma britannica Divorce on-line, su 5mila pratiche di separazioni oltre Manica, quasi un quinto, cioè 989 hanno Facebook come causa principale. C'è il marito che si dichiara single sul suo profilo e si becca l'addebito della separazione (Palmi, Calabria, gennaio 2021); c'è la trentenne che si rivolge all'avvocato di famiglia chiedendo lo scioglimento del sacro vincolo perché il marito «non mi segue su Facebook e non mette "like" ai miei post» (Alessandria D'Egitto perché qui, il fenomeno, non è ristretto al Belpaese, marzo 2019); c'è la maxi.rissa, una decina di adolescenti coinvolti, che scatta in piazza per il "like" di troppo di un ragazzo messo sul profilo Instagram di una coetanea già fidanzata (Pavia, ottobre 2018). 

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