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Slovenia, altro che allarme fascismo: 3.200 nuovi cadaveri nelle foibe

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Renato Farina
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Non è una fossa comune quella scoperta nei giorni scorsi in Slovenia a Kocevski Rog, a centocinquanta chilometri dal confine italiano, con 3200 (tremiladuecento) morti ammazzati ammucchiati lì dentro. La foiba non è una fossa comune: quest'ultima contempla il seppellimento, che ha comunque qualcosa di umano (umanità viene da inumare, secondo Giovan Battista Vico). La fossa comune rispetto alla foiba conserva una traccia minima di pietà involontaria. Qui no. C'è una logica da falce e martello in tutto questo. Che cosa c'entra infatti con l'umano il terrore comunista? Niente. Ieri, tristemente, quei cadaveri irriconoscibili hanno gettato una luce spaventosa sull'essenza del comunismo. Niente di nuovo, ovvio. Eppure non bisogna perdere la capacità di stupirsi e di commuoversi: le vittime dimenticate hanno il diritto di raccontare la loro storia comune a milioni, eppure unica, personale, con un nome e un cognome. Avrebbero volentieri fatto a meno, queste 3200 esistenze annientate dall'odio ideologico, di essere un'ulteriore prova nello strabordante fascicolo dell'orrore rosso. Almeno però adesso ci ricordiamo di loro. Qualche nome si troverà, qualche nipote proverà a visitare quel luogo, un prete benedirà. La loro storia non sarà più incatramata dalla mistificazione. Se fosse stata una cosa giusta infatti, perché il regime jugoslavo non ha circondato quel luogo come si fa con i luoghi delle battaglie vittoriose?

 

 

 

GIACIMENTO DI SANGUE

I tremiladuecento, un giacimento di sangue rappreso, sono a loro modo un record d'infamia. Mai si era trovata in Europa una simile massa di assassinati in un solo luogo. Costoro, in grande parte sloveni e croati, molti dei quali avevano combattuto il nazismo, se ne stavano lì nelle cavità carsiche dalla tarda primavera del 1945, e poi lasciati lì dagli assassini al potere in Jugoslavia per mezzo secolo: i comunisti, le cui infamie sono state per due decenni ancora protette dall'omertà. Lo sapevano tutti infatti. Ci domandiamo però: com' è stato possibile che non uno tra i partigiani esecutori del massacro o un mandante qualsiasi abbia alzato la mano nei decenni successivi, implorando prima di morire: almeno tirateli fuori da lì, date sepoltura. Una commissione governativa dello Stato che è parte dell'Unione Europea aveva deciso nel giugno scorso di trasformare i racconti bisbigliati e infine pubblicamente proclamati- cioè la strage degli anticomunisti e la loro modalità di esecuzione - in una verità documentata. Il mandato affidato agli speleologi era chiaro: cercate, frugate, scavate con la pazienza degli archeologi. Che differenza però. Gli emuli di Heinrich Schliemann si felicitano e sorridono quando rinvengono una necropoli etrusca o un sepolcro ittita, ma sappiate che questo lavoro pietoso vi farà piangere, e farà scendere molte lacrime slave.

E poi - scommettiamo? - ci sarà chi sosterrà che i 3200 se la sono meritata questa sorte: erano fascisti, collaborazionisti, magari si poteva essere meno brutali, ma questa è la fine di chi ha voluto opporsi alla grande ruota rossa. Si sa come vanno queste cose. Ma bisogna pure che si conosca cosa è accaduto, e non per un'ira momentanea ma per un disegno ideologico, che le generazioni presenti e future conoscano, tocchino la realtà con le mani. Se non trovi i corpi infatti, non esiste il delitto; senza tombe, non c'è memoria. Una brutta storia, in cui emergono pagine che non fanno onore a Churchill, il quale ha molti meriti, ma questo è stato uno schifo. Le milizie anticomuniste di Mihajlovic, generale serbo agli ordini del governo in esilio a Londra (fucilato!), alla fine di una guerra che anch' esse avevano vinto, presentendo la terrificante epurazione, si erano messi fiduciosamente nelle mani degli alleati, in particolare degli inglesi, i quali li consegnarono a Josip Broz, detto Tito. I partigiani eseguirono i suoi ordini ciecamente: sterminarli tutti, giustiziarli senza onore, una sventagliata di piombo, e poi buttarli giù nella foiba, senza neanche la pietà del colpo di grazia.

In un saggio di Stéphan Courtois e Jean-Luis Panné, ospitato nel Libro nero del comunismo, i fatti cantano. I comunisti non si opposero subito al nazifascismo.
L'accordo Molotov-Ribbentrop ne faceva un alleato di Stalin. Per cui i primi a entrare in clandestinità furono gli ufficiali lealisti del colonnello Draza Mihajlovic (18 aprile 1941), fedelissimo al re in esilio sul Tamigi: era l'esercito dei cetnici. Tito e compagni attesero il 22 giugno, quando l'Urss fu invasa, per decidere di combattere gli occupanti. Stalin dette la direttiva opportunistica di non contrastare la resistenza monarchica anticomunista, ma Tito, da croato, non sopportava proprio l'egemonia di un serbo. Diede l'ordine di bruciare ("uno ogni tanto", concesse in un impeto di bonomia) i villaggi dei contadini che non volevano saperne di comunismo e stavano dalla parte di Mihajlovic (in realtà gruppi insubordinati di cetnici si macchiarono di atrocità analoghe, di carattere etnico più che ideologico).

 

 

 

E TUTTI GLI ALTRI?

La capitolazione dell'Italia l'8 settembre del 1943 fu accompagnata dalla decisione di Churchill di offrire l'aiuto degli alleati a Tito, e non più a Mihajlovic. All'approssimarsi della sconfitta tedesca i resistenti anticomunisti sloveni, insieme ai cetnici serbi e montenegrini si consegnarono insieme ai croati di Pavelic (questi sì fascisti) alle truppe inglesi nei pressi di Bleiburg, in Austria. Questi li passarono per ordine di Churchill a Tito. Scrivono Courtois e Panné: «A soldati e poliziotti di tutti i tipi furono imposte marce mortali di centinaia di chilometri attraverso la Jugoslavia. I prigionieri sloveni furono portati nelle vicinanze di Kocevje, in Slovenia, dove furono uccise da 20.000 a 30.000 persone. I cetnici sconfitti non sfuggirono alla vendetta dei partigiani, che non fecero prigionieri». Vuol dire che si devono cercare, nelle cave, e nelle foibe almeno altri 15.000 cadaveri. Di tutte le immagini alcune restano impresse. I partigiani titini gettarono nella foiba grande anche i feriti, certi che non sarebbero sopravvissuti, anzi meglio se erano ancora vivi: avrebbero patito di più. Nel loro rapporto, i pietosi cercatori di resti umani raccontano di mani aggrappate a sporgenze di rocce: i sopravvissuti ai proiettili e alla caduta nel precipizio avevano provato l'impossibile.

Sono state trovate anche molte stampelle. Erano feriti di guerra. Giù anche loro: che usino le loro stampelle all'inferno. Monsignor Andrej Saje, vescovo di Novo Mesto, presidente della conferenza episcopale della Slovenia, ha dichiarato: «Ho espresso la mia aspettativa che lo Stato e le autorità responsabili garantiscano che tutti coloro che sono stati brutalmente assassinati durante e dopo la Seconda guerra mondiale ricevano una degna sepoltura e che abbiano un posto nella memoria storica della nazione». Quando Saje nacque, nel 1966, quei morti urlavano in silenzio da 21 anni.

 

 

 

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