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Luca Zaia sui medici no-vax: "Era inevitabile il reintegro"

Claudia Osmetti
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«Ho l'impressione che qualcuno non abbia capito bene di cosa stiamo parlando. I medici no-vax, quelli che non si sono fatti il vaccino contro il Covid, non sono mica stati radiati dai loro rispettivi ordini professionali». Luca Zaia (non ha bisogno di presentazioni, basta una riga di biografia: fa il governatore leghista della Regione Veneto) è abituato a non girarci attorno alle cose. Te lo dice pane al pane, quello che pensa. Una schiettezza, la sua, che è una qualità rara tra i politici, forse pure più del pragmatismo che ci vuole per non rimanere impigliati in polemiche che altrimenti si autoalimentano. Come quella sul reintegro del personale sanitario che il braccio, per quella benedetta punturina salva-pelle conto il Sars-cov2, non ha voluto proprio mettercelo. «I dottori no-vax sono stati "sospesi", iniziamo a usare le parole per quello che sono», continua Zaia, «sennò è il caos».

 

 

 

Presidente Zaia, ma questo cosa significa?
«Che, a meno che qualcuno non teorizzi la sparizione di queste persone dalla scena medica, era inevitabile che prima o poi si sarebbero presentate alle porte degli ospedali. La sospensione non dura per sempre».

Vero. Però adesso il nuovo ministro Schillaci (Sanità) li ha richiamati in servizio ed è scoppiato il parapiglia...
«Sì, ma la domanda che vorrei porre io a chi si lamenta è questa: allora proponete la loro radiazione? Perché l'alternativa è una. Non ne vedo altre. Io rispetto le idee di tutti, per carità. Però evitiamo discussioni che non stanno manco in piedi. C'è gente anche autorevole che si straccia le vesti: ma poi, in concreto, cosa facciamo? Aspettiamo altri sei mesi, un anno ancora? Così però il problema si rimanda e basta».

Invece il governo Meloni l'ha anticipato. Di quei famosi due mesi che a conti fatti sono appena otto settimane. Ha fatto bene?
«Dobbiamo prenderne atto e basta. Il governo ha fatto un provvedimento che, come dice lei, è solo un'anticipazione di quello che era già stato previsto. Dopodiché, se vuole il mio personale punto di vista, io credo che i medici non vaccinati, a tutela dei pazienti ma anche loro, non debbano essere reimpiegati in quei reparti che sono considerati a rischio. Magari in Oncologia, o in Pediatria oncologica. Per loro, quest' apertura, non deve essere letta come una vittoria. Siamo chiari su questo».

Cioè?
«C'era una legge e non l'hanno rispettata. Non dobbiamo rinnegare nulla di quanto abbiamo fatto con il Covid. Non possiamo fare sempre gli illuministi e valutare la Storia con il senno di poi. Noi eravamo lì e, purtroppo, eravamo a bordo campo, non sulle tribune.
Punto».

In Veneto quanti sono i medici no-vax?
«Quelli che dovevano essere reintegrati il primo gennaio e che, adesso, rimetteranno il camice prima sono solo dodici su 605 operatori sanitari sospesi in totale. Anche questo dà la portata del fenomeno. Una Regione come la mia dispone di 11mila medici in ospedale e altri 3mila in Medicina di base. Non è una mia intenzione fare la difesa d'ufficio del governo, primo perché non ne ha bisogno e secondo perché non sono un avvocato. Aggiungo, però, che se vuole uscirne bene, adesso è il momento della fase due».

Urca. La "fase due"?
«L'altra faccia della questione è che mancano gli operatori della Sanità. Abbiamo una deficienza di circa 45mila medici in tutto il Paese, di infermieri non so neanche quante migliaia. Per me, ora, quella che viene per prima di tutto è la cura del paziente. Ma non basta reintegrare i medici sospesi, serve il carico da novanta».

La butto là: tocca togliere il numero chiuso a Medicina?
«Tanto per cominciare. Poi bisogna andare verso un modello di università meritocratico dove i ragazzi vengono selezionati sul campo. Oggi usiamo i test, ma un grande chirurgo è un artista. Se non gli dai in mano un bisturi, come lo valuti? Dobbiamo investire di più su queste categorie perché paghiamo il conto di una programmazione totalmente sbagliata degli anni passati. Ma questo Luca Zaia non lo dice da oggi perché ha avuto una folgorazione sulla via di Damasco. Lo dico almeno dal 2010. Non senza ricevere le solite critiche gratuite».

Quali?
«Nell'estate del 2018, per esempio, ho assunto 309 medici non specializzati per metterli nei Pronto soccorso e apriticielo: mi hanno fatto una polemica che non finiva più, università comprese. Alla fine sono gli stessi ragazzi incaricati di andare nelle case dei malati Covid, quando è iniziata la pandemia. Ci vuole un altro approccio. E ci vuole che i professionisti siano pagati di più, sennò se vanno all'estero. Posso dire una cosa a cui tengo molto?».

Prego.
«Adesso sta montando una discussione eterna sui medici no-vax, ma ricordiamoci di quelli che hanno fatto la battaglia. Di quelli che si sono vaccinati, che hanno sofferto e lavorato e a cui va riconosciuto il merito. Se ci sono degli eroi, sono quelli che sono rimasti in corsia a lavorare».

 

 

 

Sono perfettamente d'accordo. A proposito, ma chi sono quelli che hanno rifiutato il vaccino? Lei si è fatto un'idea?
«Ce ne sono di due categorie. La prima è quella di chi, per paura, per convinzione, per ansia personale, non si è vaccinata. Io ho sempre difeso la libertà di scelta nella vaccinazione. Ho fatto una grande campagna vaccinale in Veneto, ma ho sempre pensato che dovesse vincere il dialogo e non la coercizione. Noi ce l'abbiamo fatta, abbiamo raggiunto tutti. Dobbiamo raccontarci anche le cose che vanno bene».

E la seconda categoria?
«È infinitesimale e riguarda chi non si è vaccinato epperò si messo a "far lezione"».

Scusi?
«C'è chi ha cominciato a parlare di scie chimiche, di poteri forti, di Big Pharma. Chi ha iniziato anche a offendere arrivando a livelli di discussione inaccettabili. Io sono totalmente rispettoso delle idee di tutti, anche di quelli che la pensano all'opposto da me, ma alcuni hanno esagerato. Soprattutto perché hanno molto spesso venduto una visione semplicistica del Covid. Abbiamo sentito gente parlare di genetica senza che neanche sapesse cosa sia. Ecco, queste persone non le posso proprio giustificare».

Come sta andando la pandemia in Veneto?
«Come nel resto d'Italia, immagino. Abbiamo un migliaio di persone ricoverate e una quarantina in terapia intensiva: non sono segno dell'inefficienza dei miei sanitari, si tratta di persone fragili e magari di anziani. Nei periodi di crisi avevo 3.500 ricoverati e altri 500 in intensiva, i numeri son lì da vedere per chi abbia voglia di leggerli.
Nel 2020 c'era la paralisi totale degli ospedali. Oggi no».

Sospirone di sollievo?
«Da qui ad affrontarla sportivamente ce ne passa. Non dobbiamo farlo, anche per rispetto ai tanti morti e delle tragedie che ci sono state. Però possiamo dici che il virus non è più quello del 2020. Sa da cosa lo si capisce?».

Da cosa?
«Due anni fa diventavamo pazzi a trovare i respiratori perché il Covid dava vita a polmoniti interstiziali, cioè beccava i polmoni. Oggi attacca le vie aeree superiori, il naso e la gola, ma non va più giù. Le polmonite non le vediamo più. Posso riferirmi ai tanti "medici" che in questi mesi si sono "laureati" su Facebook?».

Lanciamo un appello?

«Vi basterebbe andare in un ospedale per capire che la sintomatologia non è più quella di ieri. Ma allo stesso tempo, non banalizziamo e non rinneghiamo quello che abbiamo fatto».

Ultima domanda: le mascherine in ospedale. Su quel fronte, alla fine, il governo Meloni ha rinviato la scadenza dell'obbligo. Eccessiva prudenza, buona pratica o senso di responsabilità?

«Siamo in una fase di convivenza del virus, penso che negli ospedali e nelle residenze per anziani la mascherina debba restare a prescindere dal Covid. Abbiamo ricoverati fragili, con la pandemia abbiamo capito che non si possono potar loro virus o batteri. Vanno tutelati. È anche un segno di rispetto. E, se vogliamo, una lezione che ci ha impartito il coronavirus. Non sprechiamola». 

 

 

 

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