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Valditara nel mirino, alta tensioni: quelle (brutte) voci su venerdì prossimo

Giuseppe Valditara  

Fausto Carioti
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Al fronte esterno, quello della Francia e dei barconi, sta per aggiungersi il fronte interno. Questione di giorni: venerdì 18 novembre parte la mobilitazione degli studenti, con manifestazioni a Roma, Milano e altrove. Presidi e rettori d'università hanno segnato in rosso la data sul calendario: per loro, segna l'inizio dell'autunno caldo. «Ci aspettiamo occupazioni, cortei nelle città e tutto il resto che si può immaginare», dice a Libero il dirigente scolastico di un importante istituto romano, pronto al peggio.

Ha buoni motivi per essere preoccupato. Gli organizzatori assicurano che porteranno la protesta «nelle piazze di tutto il Paese» e che «ci saranno tutte le associazioni e i collettivi studenteschi». Il programma delle loro rivendicazioni parte da un non meglio definito «diritto allo studio» (difficilmente conciliabile con le occupazioni, che negano tale diritto a chi vorrebbe fare lezione), dall'abolizione dell'alternanza scuola-lavoro e dalla richiesta di una riforma della rappresentanza studentesca. Ma è solo l'inizio dell'elenco delle lamentazioni. Perché il problema vero, stavolta, è il colore del governo in carica.

Le sigle dietro alla protesta sono tutte di sinistra. C'è la Rete degli studenti medi, vicina al Pd, e l'Unione degli universitari, legata alla Cgil.
C'è l'Unione degli studenti, che si definisce autonoma, ma è anch' essa schierata su quel fronte. Tant' è che si è associata con Link, il coordinamento universitario, dichiaratamente di sinistra, che ha annunciato la propria presenza in piazza «contro il classismo, il sessismo, la meritocrazia, contro le speculazioni sul pianeta e sui corpi, contro questo modello di produzione».

TANTE SFUMATURE DI ROSSO
Assieme a tutte queste entità ci sarà una miriade di "collettivi" di estrema sinistra, tra cui Cambiare rotta, che si definisce «organizzazione giovanile comunista» e a fine ottobre è stata protagonista degli scontri con la polizia alla Sapienza: erano quelli in prima fila nel picchetto per impedire che si svolgesse il convegno al quale erano stati invitati Daniele Capezzone ed esponenti di Fdi. Sfilerà anche la Fiom, il sindacato dei metalmeccanici della Cgil, da cui proviene Maurizio Landini, accanto alla Federazione dei lavoratori della conoscenza, altra componente della galassia cigiellina.

E si vedranno sigle che con il mondo della scuola non hanno nulla a che fare, ma che confermano la saldatura tra la protesta degli studenti politicizzati e le altre cause con cui la sinistra si oppone al governo.

La rete No Cpr, contraria ai Centri di permanenza per i rimpatri, sarà lì per difendere il "diritto" di tutti gli immigrati ad essere accolti in Italia. Il collettivo Non Una Di Meno (quelle che hanno messo online le immagini di Giorgia Meloni a testa in giù) porterà in piazza, assieme ad altre associazioni femministe, il tema del "diritto all'aborto" (è del tutto inutile che il premier e il ministro della Famiglia, Eugenia Roccella, insistano a dire che «la legge 194 non è in discussione»: il messaggio non passa). Mentre Legambiente ed altre realtà ecologiste protesteranno per la «giustizia climatica» e contro le trivellazioni in Adriatico.

Non che le organizzazioni studentesche abbiano bisogno di essere instradate: la loro missione l'hanno chiara, basta leggere ciò che dicono e scrivono. Già il fatto che il ministero guidato da Giuseppe Valditara abbia cambiato nome e ora si permetta, oltre all'istruzione, di promuovere il merito, è ritenuto gravissimo: «Nessun merito per questo governo» è uno degli slogan della chiamata alle armi.

LA CARICA DEI COBAS
Esponenti dei collettivi universitari sostengono che «il merito non è altro che uno strumento con cui si acuiscono le differenze di classe tra studenti» e chiedono un'università «transfemminista, antirazzista, anticapitalista, ecologista e antifascista». La Rete degli studenti medi e l'Unione degli universitari denunciano «una serie di ministri impresentabili» e «una concezione meritocratica dell'istruzione e della società, legata a una visione competitiva e al culto del self-made man». Per molti degli organizzatori l'obiettivo è mantenere alto il livello di mobilitazione almeno sino al 2 dicembre, quando è previsto lo sciopero generale indetto dai sindacati di base per i lavoratori di tutti i settori pubblici e privati. 

E anche qui, basta leggere il proclama dei Cobas della scuola per capire che l'istruzione c'entra poco. Promettono «totale opposizione al governo Meloni e alla destra oscurantista, autarchica, sovranista, padronale e patriarcale» e puntano a trasformare la loro protesta in uno «sciopero sociale, coinvolgendo movimenti ambientalisti, femministi, Lgbtq+, studenti e centri sociali». In attesa che il Pd si riprenda (potrebbero volerci anni, ammesso che ci riesca), l'opposizione sono loro.

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