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Utero in affitto? "Degradante": se anche la Cassazione smonta il Pride

Corrado Ocone
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La cosiddetta “maternità surrogata” non ci piace perché è una pratica che, oltre a prestarsi a turpi mercimoni, tende ad allentare quei naturali rapporti familiari che vigono tra gli umani e che hanno permesso alla nostra civiltà di svilupparsi e crescere nel tempo. Lo ripetiamo, su queste pagine e poche altre simili, da diversi giorni. Sarebbe però un errore limitarsi a una critica solo contenutistica. Quel che sta succedendo in questi giorni in Italia, ad esempio attorno alla vicenda connessa al patrocinio prima concesso e poi negato della Regione Lazio al Gay Pride, porta infatti in luce un problema più vasto e più serio, che è un problema di libertà. Un problema metapolitico, o di civiltà democratica e liberale, prima ancora che politico. Chi rappresenta, o dice di rappresentare, le “minoranze” che sono al centro di questi episodi non si sta preoccupando infatti semplicemente di promuovere le proprie idee, e casomai di affermarle nell’agone pubblico con la forza della persuasione e dell’argomentazione razionale. Vuole di più. Esige, più radicalmente, che quelle opinioni vengano considerate a stregua di “verità” assolute e indiscutibili. E che quindi ogni idea o convinzione contraria, sia isolata, silenziata, censurata, o addirittura condannata per mezzo della legge.

 

CONVERSAZIONE DEMOCRATICA

Dal punto di vista della “conversazione democratica” chi sfila in un Gay Pride e chi, al contrario, lo fa sotto le bandiere del Family Day pari sono e di un pari diritto all’espressione delle proprie idee devono godere. La proposta di legge presentata nella passata legislatura da Alessandro Zan, e poi per fortuna bocciata, rappresentò quasi plasticamente questa volontà intollerante e liberticida di zittire i diversamente pensanti e opinanti e di indottrinare i giovani nelle scuole prima ancora che maturi in loro un auspicabile spirito critico. È una idea che è agli antipodi della democrazia liberale: una idea da “Stato etico” tutto proteso a realizzare una “verità di Stato”. Quello che sempre più succede è che l’ambito della politica diventi, ipso facto, quello istituzionale, il quale non viene più visto come la garanzia del pluralismo delle idee di tutti ma viene fatto coincidere senza scarti con le idee di una parte, spesso fra l’altro minoritaria nella società. A ben vedere, Francesco Rocca, il presidente del Lazio, concedendo il patrocinio, aveva chiesto agli organizzatori solo questo: di non strumentalizzare e politicizzare la concessione dimenticando che le istituzioni dello Stato non sono appannaggio di una sola parte politica.

 

CONTROCORRENTE

E che, quindi, non ci si servisse del patrocinio stesso per avallare una pratica, quella dell’ “utero in affitto”, che comunque è in Italia, allo stato attuale, illegale e che la stessa Cassazione ha definito “degradante”. Non solo gli organizzatori non hanno ottemperato a questo impegno ma hanno preteso con protervia ed arroganza che Rocca non ritirasse il patrocinio. E spiace che il Pd, che pure sa vendersi (soprattutto all’estero) come “partito delle istituzioni”, sia intervenuto ancora una volta a difesa dell’indifendibile, quasi a calcare quella deriva antidemocratica che caratterizza ormai la segreteria di Elly Schlein. Probabilmente la più parte di gay e trangender si riconoscono in queste idee democratiche e non desiderano affatto che le loro idee siano “riconosciute” con il metodo della violenza e dell’arroganza. Sarebbe forse giunto il momento che si liberino di certi leader. Non è discriminando a propria volta che si combattono le vere o presunte discriminazioni dell’oggi e del passato. Il giorno in cui questa consapevolezza sarà diffusa sarà un bel giorno per la nostra democrazia.

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