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Airbnb non paga il Fisco, rischiano i cittadini: indiscrezioni sulla Finanza

Sandro Iacometti
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Gira che ti rigira alla fine ci vanno di mezzo sempre i proprietari di casa. Avete presente il sequestro di 779 milioni a carico di Airbnb disposto qualche giorno fa dalla procura di Milano per non aver prelevato e versato al fisco le tasse sugli affitti brevi? Ebbene, siccome il colosso californiano non ha conti né sedi in Italia (l’Europa è gestita dalla filiale irlandese) e quindi non si può sequestrare un bel piffero, la Guardia di Finanza busserà presto ai titolari degli appartamenti messi in locazione per rientrare in possesso delle somme. Ora, già il fatto che la società d’intermediazione debba trasformarsi in agente del fisco non è così pacifico.

 

 

L’ultima tappa di un lungo contenzioso (si è partiti con un ricorso al Tar) aperto da Airbnb con l’Italia, che dal 2017 ha avanzato per legge la pretesa, è dello scorso 24 ottobre, quando il Consiglio di Stato ha di fatto confermato la sentenza della Corte di Giustizia europea del dicembre 2022. Questa la sintesi del verdetto: l’obbligo di raccogliere e comunicare i dati fiscali degli host (chi mette in affitto la casa) e di operare la ritenuta è in linea con le regole comunitarie, quindi Airbnb deve ottemperare alle disposizioni. Però non si sa bene in che modo. Già, perché il principio della libera prestazione dei servizi sancito dall’articolo 56 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea confligge con l’obbligo di nominare un rappresentate fiscale in Italia, cosa che invece è prevista dalla legge del 2017 proprio per svolgere il ruolo di sostituto d’imposta. Ed è sulla base di questo pasticcio normativo che Airbnb si è ben guardata finora dal raccogliere le imposte, limitandosi a rendicontare e comunicare transazioni e dati fiscali dei proprietari di casa. Risultato: i magistrati la accusano di essersi sottratta al versamento, in qualità di sostituto d’imposta, di ritenute per oltre 779 milioni, «calcolate in misura del 21% su canoni di locazione breve per oltre 3,7 miliardi di euro corrisposti nel periodo 2017-2021 dagli ospiti delle strutture ricettive pubblicizzate». 

 


A questo punto il problema è: chi paga? Airbnb perché non ha fatto la ritenuta o il proprietario di casa perché si è messo tutto in tasca senza pagare le tasse? In questa seconda ipotesi, però, bisognerebbe dimostrare anche la mala fede. E qui la cosa diventa più complicata. Se io so che dal 2017 Airbnb deve decurtare dai proventi dell’affitto non solo la quota per l’utilizzo della piattaforma, ma anche le imposte, è assai probabile che io non vada a spulciarmi tutte le volte le ricevute per verificare che l’importo sia quello giusto. Anche perché se è vero che oltre il 90% del comparto degli affitti brevi è rappresentato da famiglie che usano l’immobile di proprietà per sbarcare il lunario è assai facile che non ci siano commercialisti o tributaristi a gestire le pratiche, ma dei semplici cittadini, magari neanche giovanissimi. L’ipotesi investigativa, manco a dirlo, è che invece un’alta percentuale di locatari fosse a conoscenza dell’omessa trattenuta della cedolare secca e abbia deciso consapevolmente di non versare il dovuto al fisco. Motivo per il quale sarebbe legittimo aprire nei loro confronti un procedimento tributario. Nulla da temere, in questa prospettiva, avrebbe chi si è accorto del rifiuto di Airbnb di agire da sostituto d’imposta e ha pagato da solo la cedolare del 21% sugli importi.

 


Come si districa la matassa nessuno lo sa. Quello che è molto probabile, però, è che, evasori o no, tutti coloro che dal 2017 ad oggi (anche se bisogna valutare i termini della prescrizione) hanno utilizzato Airbnb per affittare la propria casa potrebbero subire controlli fiscali e vedersi arrivare una bella cartella esattoriale. Un’altra buona notizia per chi, oltre all’Imu stratosferica pagata ogni anno, alla prospettiva di una riforma del catasto che aumenterà il prelievo fiscale e a quella di interventi di ristrutturazione imposti dalle direttive green della Ue, è ancora in attesa di sapere se arriverà pure la stangata sulla cedolare secca (per ora l’aumento al 26% parte dal secondo immobile affittato). Tutto ovviamente in barba al rispetto sacrale che la proprietà privata, legittimo frutto dei propri guadagni, già ampiamente tassati, dovrebbe avere nella società occidentale. 

 

 

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