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I giovani italiani sono i più sensibili all'uguaglianza fra donne e uomini

Claudia Osmetti
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È che siam sempre lì, magari pure col ditino alzato, signora-mia-ma-questi-ragazzi-di-oggi-come-stanno-crescendo? Oppure con le ultime manifestazioni, fiumane di persone in piazza, giustamente scandalizzate perché la violenza di genere è uno schifo e poi cosa-stiamo-insegnando-ai-giovani? O ancora indignati, preoccupati, risentiti: troppi social, troppo bullismo, troppo razzismo. Colpa (il leitmotiv della settimana) del patriarcato, di quella cultura maschilista che ti tira su così, con una scala di valori inaccettabile per un Paese occidentale del 2023. E abbiamo torto. Torto marcio. Non perché la violenza di genere non sia uno schifo (lo è), non perché il patriarcato non esista (in una certa misura esiste, assieme alla cultura maschilista che in alcuni casi è dura a smorzarsi), non perché siano da negare (giammai) bullismo e razzismo: ma perché i nostri ragazzi, gli adolescenti, i tredici e quattordicenni dell’Italia moderna, dell’Italia di oggi, sono molto più aperti di noi. Se c’è qualcuno che impartisce lezione, al massimo sono loro.

 

 

 

Lo dice chiaramente l’ultima indagine di Iea Iccs (che poi è l’International civic and citizenship education study) la quale ha coinvolto 22 Paesi nel mondo (quindi non solo il nostro), 224 scuole italiane, 2.400 insegnanti e circa 4.900 studenti delle scuole medie. Si tratta di uno studio, approfondito, quello di Iea Iccs, tra l’altro nuovo di zecca perché non era mai stato condotto prima, almeno non con una platea di riferimento così ampia, sull’educazione civica e la cittadinanza. Uno studio che fotografa per bene come gli studenti italiani siano più favorevoli (e parecchio) della media internazionale dei loro coetanei quando si parla di uguaglianza di genere. Oibò. Il punteggio mediano dei 22 Stati presi in considerazione, infatti, è di 52: l’Italia arriva a 56 (come la Francia e la Svezia), meglio di noi fa solo Taiwan (58). Tutti gli altri ottengono meno (ottiene meno la Spagna che si ferma a 55 assieme alla civilissima Norvegia; ottiene meno la Croazia che staziona attorno a 54 come Malta; ottiene meno, ossia 46, che è anche il dato più basso in assoluto, la Bulgaria).

 

 

 

Gli studenti italiani, poi, sono tra i pochi che rispetto all’ultima rilevazione del 2016 aumentano la loro performance di 0,3 punti. E attenzione: c’entra niente l’impegno delle manifestazioni di questi giorni, gli appelli in tivù e nei cortei, il tam tam (sacrosanto) sulle ultime vicende di cronaca che si è mangiato spazi nei talk e pagine su Facebook. I numeri, questi numeri, sono riferiti a sondaggi effettuati nel 2022. Insomma, i nostri ragazzi la pensavano così anche prima. Pensavano, cioè, che tra donne e uomini di differenze ci siano solo quelle biologiche, che ciò che conta, alla fine, non sono le parti anatomiche ma una persona, che femmina o maschio è uguale. Vivaiddio se hanno ragione. Vivaiddio se è questa la strada giusta. Tracciata, non a caso, dalle nuove generazioni: quelle col cellulare in mano e internet sempre connesso, e allora che male c’è? Hanno pure più a cuore di noi le sorte dei migranti, gli adolescenti. Pensano che «i figli degli immigrati dovrebbero avere le stesse opportunità di studio degli altri bambini» e che «gli immigrati dovrebbero avere gli stessi diritti delle altre persone» e che «dovrebbero avere l’opportunità di conservare i propri usi e costumi» nonché se «vivono da diversi anni in un Paese, l’opportunità di votare alle elezioni».

 

Abbiamo giovani che s’intendono di politica, e questa anche è una bella scoperta. Li immaginavamo solo con le cuffiette alle orecchie ad ascoltare la trap, e salta fuori che l’83% degli studenti italiani (contro il 75% di quelli mondiali, l’aumento è evidente) è d’accordo sul fatto che la democrazia sia «ancora la forma migliore di governo per il proprio» Stato. È già qualcosa, coi tempi che corrono. Dicono, i nostri adolescenti, che sono propensi a partecipare alle elezioni, un po’ meno rispetto al passato ma un po’ più dei loro coetanei all’estero. Non piacciono loro, tuttavia, i media tradizionali (che perdono il 15% della loro fiducia) e non piace loro nemmeno la compagine parlamentare, intesa in senso lato (che sforbicia di un significativo meno 13%). Sono preparatissimi in educazione civica, specialmente le ragazze e nonostante il Covid, uno su due (il 47%) discute di politica a casa con i propri genitori. E lo fa frequentemente. S’interessa, s’informa, ragiona. Il canale di informazione preferito resta quello televisivo (il 50% dei quattordicenni lo utilizza almeno una volta a settimana: anche se questa percentuale si taglia di sei punti rispetto al periodo pre-pandemico del 2016), seguito dal maremagnum del web (valido nel 29% dei casi) e molto più staccata è la lettura dei giornali, compresi quelli digitali e on-line (21%). Dobbiamo prenderne atto ed esserne anche un po’ orgogliosi: perché non facciamo che ripeterci che sono loro la società del futuro. Ed evidentemente sono una società più aperta di quel che viene dipinta. 

 

 

 

 

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