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Fiumicino, la targa ricorda la strage ma non cita gli autori: i terroristi palestinesi

Marco Patricelli
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C’è terrorismo e terrorismo, qualificato e squalificante. L’aggettivo non è un vezzo linguistico ma dà la dimensione alla storia e alla memoria, perché le incornicia entro un perimetro netto; se manca si rischia di annacquare col ricordo anche la matrice di un fatto di sangue che va sottolineato nel presente e indicato ai posteri esattamente per quello che è stato.

Ampio spazio sui servizi tv allo scoprimento della targa dedicata alle vittime innocenti dell’attentato terroristico del 17 dicembre 1973 a Fiumicino, con l’incontro per la prima volta dei familiari che hanno battuto insistentemente e amaramente sul fatto di essere stati dimenticati per mezzo secolo. La cerimonia di scoprimento della targa è stata un atto di riparazione, non per rinnovare il dolore ma per esorcizzarlo con l’esercizio della memoria. La questione è che chi passerà sotto a quella targa, tra altri cinquanta anni ma anche molto meno, non saprà affatto chi si macchiò della strage e quindi non capirà neppure perché e per come. Manca infatti un aggettivo indispensabile. L’attentato fu opera di un commando di terroristi palestinesi, responsabili dell’uccisione di 32 persone. L’intestazione della targa è solo «In memoria delle vittime dell’attentato del 17 dicembre 1973».

 

 

Strano, in un Paese dove nel ricordare le vittime della guerra civile 1943-1945 è giustamente implacabile l’aggettivo nazista a ogni strage e fucilazione, o nazifascista tanto per abbondare anche quando magari i fascisti neanche c’erano. Sulla lapide alla stazione di Bologna (2 agosto 1980) l’aggettivo fascista è stato un mantra che oscillava sopra e sotto la verità processuale, e guai a tacerlo al di là delle scalpellate sul marmo.

Se parliamo di Capaci o di via D’Amelio, è impensabile omettere che la strage è mafiosa, ma quando si parla di foibe o di Norma Cossetto scattano le pruderie e le allergie ad aggettivare con partigiani, comunisti, e persino titini (forse perché Tito è ancora nel Gotha dell’Ordine al merito della Repubblica italiana). Può darsi che sulla targa di Fiumicino si sia incorsi in una semplice disattenzione, comunque grave.

 

 

A pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca, come ammoniva il volpone di Giulio Andreotti, proprio lui che tessé la tela di protezione con Arafat e i palestinesi, e la citazione non è casuale. Forse sarà apparso poco politicamente corretto scrivere «attentato palestinese» oppure «attentato dei terroristi palestinesi», perché poi vallo a spiegare che fior di galantuomini erano i nonni e i papà dei baldanzosi combattenti di Hamas che hanno macellato 1.200 civili israeliani un paio di mesi fa, mica mezzo secolo. Ma vallo a spiegare pure ai baldi giovanotti manifestanti pro Palestina e pro Hamas, con kefiah e bandiere, che occupano le università, pretendono manifesti di solidarietà ai palestinesi ed equiparano Israele al Terzo Reich con slogan antisemiti. Sarà però ben difficile, se non impossibile, trovare in Italia una targa o una lapide dove l’aggettivo “ebreo” non sia costantemente la qualifica di una vittima (come su migliaia di pietre d’inciampo), mentre a Fiumicino è stata persa l’occasione di rimettere la storia al centro e le tifoserie fuori campo.

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