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Ratzinger, papa conservatore che conquistò pure i marxisti

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Antonio Socci
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A un anno dalla morte di Benedetto XVI, si leggono commenti che esprimono stima e nostalgia. Pochi ricordano la dura ostilità che circondò il suo pontificato. Basti citare il discorso di Ratisbona rivolto all’Islam, la polemica per l’intervento (che poi non fece) all’Università di Roma, il suo insegnamento sui “principi non negoziabili”, la confutazione del cattoprogressismo e del modernismo teologico. Eppure, più o meno consapevolmente, oggi si ha la sensazione che il caso non sia affatto chiuso. Quello che Benedetto XVI ha rappresentato riguarda noi oggi e il nostro futuro.

Intervistato da “Avvenire”, subito dopo la “rinuncia” di Ratzinger, Massimo Cacciari disse: «Che la nostra sia un’epoca apocalittica mi pare indubbio. Viviamo in una dimensione globale che neppure l’Impero romano aveva conosciuto e questo comporta una continua omologazione dei princìpi, dei comportamenti, dell’etica. Ci siamo lasciati alle spalle i totalitarismi, che si presentavano esplicitamente come forze prometeiche, anticristiche e, in quanto tali, chiamavano in causa il kathécon (colui che frena l’Anticristo, nda) la cui funzione era esercitata da altri poteri, sia politici sia religiosi. Ora è la volta di Epimeteo, l’Anticristo si mostra con il suo volto conciliante e il rischio è che la Chiesa non riesca a presentarsi come segno di contraddizione in un mondo ormai assuefatto all’indifferenza».

 

 

 

EPOCA POST-CRISTIANA

Il pontificato di Ratzinger, iniziato nel 2005, aveva alle spalle i totalitarismi del Novecento, ma non poteva più contare sull’alleanza di quell’Occidente che con la Chiesa aveva fatto argine alla barbarie totalitaria. Per la prima volta da molti secoli la Chiesa di Roma non disponeva più di una forte alleanza politica. Anzi, l’Occidente – gli Stati Uniti delle presidenze Dem e l’Unione Europea– si stava caratterizzando sempre più per i connotati ideologici post-cristiani, ostili alla visione cristiana.

Era stato Ratzinger, già da cardinale e poi da Papa, a evocare la figura dell’Anticristo del noto racconto di Vladimir Solovev: un imperatore del mondo non persecutore, ma illuminato, filantropo, ecumenico, ecologista: il “politicamente corretto” come la nuova ideologia dominante. Cacciari osservò, in un’altra intervista del 2013, che «la forza simbolica» della rinuncia di Ratzinger «ci interroga seriamente su questo punto. La Chiesa si è sempre caratterizzata anche per la sua capacità di “tenere a freno”, di arrestare – come si legge in San Paolo – l’avanzata delle forze anticristiche. Bisogna quindi chiedersi se la decisione di Ratzinger non sia una lucida dichiarazione di impotenza a reggere una funzione di ”potere che frena”. (...) Potremmo ipotizzare che Ratzinger si dimette perché non riesce più a contenere le potenze anticristiche, all’interno della stessa Chiesa. Questa è una chiave per la decisione di Ratzinger. La sua decisione fa tutt’uno con la crisi del politico, del potere che frena».

Il filosofo veneziano sottolineava poi: «La spersonalizzazione delle figure politiche e, al contempo, l’accresciuta potenza delle figure marino-aeree come l’informazione, la finanza, la smaterializzazione dello stesso capitalismo... Sono potenti immagini anticristiche – in quanto tali, teologicamente – e possono essere comprese soltanto in questa chiave epocale. La Chiesa si trova di fronte, per la prima volta, alla vera essenza dell’Anticristo. Prima si era trovata di fronte a degli antagonisti (...) Credo che la tragedia della Chiesa sia, in questo momento, proprio questa».

Cacciari non è stato l’unico a dare questa interpretazione “apocalittica”. Quello di Joseph Ratzinger è stato un «tentativo eroico di arginare la forma post-moderna dell’Anticristo». A pronunciare, dopo la rinuncia, questo insolito giudizio fu Mario Tronti, che è stato uno dei maggiori pensatori marxisti, già fondatore teorico dell’operaismo. Si espresse così il 26 ottobre 2013 all’“Incontro di Norcia” della Fondazione Magna Carta, dove quell’anno di rifletteva su due testi d’ispirazione ratzingeriana: il Manifesto di Norcia, lanciato nel 2011 da Gaetano Quagliariello, Eugenia Roccella e Maurizio Sacconi, rivolto al centro-destra; e il Manifesto dei cosiddetti “marxisti-ratzingeriani”, scritto da Giuseppe Vacca, Mario Tronti, Pietro Barcellona e Paolo Sorbi, che si rivolgeva alla sinistra democratica.

L’insegnamento di Benedetto XVI sull’“emergenza antropologica” rappresentava il punto d’incontro. Infatti il titolo quell’anno fu “Ratzinger oltre Ratzinger”. Il fascino che il magistero di Benedetto XVI esercitava su questi intellettuali di estrazioni tanto diverse (marxista, radicale, liberale, socialista, femminista) dimostra la forza del suo pontificato e la capacità che quel Papa aveva di cogliere i drammatici pericoli del nostro tempo, indicando sentieri nuovi.

 

 

 

UMANESIMO CONDIVISO

Da Norcia uscì infatti una dichiarazione comune che poteva rappresentare una svolta per la politica italiana. Rileggerla oggi fa impressione. Vi si affermava che in un Paese come il nostro, lacerato da una guerra civile permanente, essi avvertivano «la necessità nella dimensione politica di un umanesimo condiviso quale è stato disegnato, per credenti e non credenti, dalla tradizione cristiana e dalla Costituzione repubblicana». Il testo poi sottolineava che siamo dentro «una vera e propria emergenza antropologica», e che «le funzioni di governo sono investite di responsabilità in relazione al valore della vita, della famiglia naturale, della libertà educativa, alla luce anche dei nuovi comportamenti sociali». Sembra passata un’era geologica. Ma con l’eventuale fine dell’epoca Dem degli Stati Uniti (Obama/Clinton/Biden) e un cambiamento politico dell’Unione Europea, potrebbe tornare di grande attualità l’insegnamento di Benedetto XVI per costruire il mondo di domani. 

 

 

 

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