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Nucleare, Bruno Coppi: "Energia pulita in 4 anni"

Fabio Rubini
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Da qualche tempo in Italia si è riaperto il dibattito sull’energia nucleare, un tema rilanciato con forza dalla scoperta della nostra dipendenza da energia importata. Il più deciso nel riaprire la questione è stato il vice premier Matteo Salvini che per superare le paure che dall’incidente di Chernobyl (1986) attanagliano l'opinione pubblica, ha messo sul tavolo il concetto di «nucleare pulito», che semplificando al massimo - ci perdoneranno i lettori più esperti - è quello derivante dalla fusione nucleare, che è in fase di sperimentazione, ma che promette non solo di essere a scorie zero (o quasi), ma anche di essere molto più sicuro. Ultima premessa: per arrivare alla fusione le grandi potenze mondiali hanno dato vita a un mega progetto che si chiama ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor), che costa 65 miliardi di euro (l’Italia vi contribuisce per il 9%), che promette i primi risultati attorno al 2050, ma che visti tempi e spesa, ultimamente ha fatto registrare alcune defezioni.

Noi vogliamo raccontarvi una “seconda via”, nata al MIT di Boston e che potrebbe trovare la sua realizzazione in Italia, a Caorso, nel sito dove già esiste un sito nucleare chiuso attorno agli anni Novanta. Protagonista di questa storia è Bruno Coppi, uno dei massimi esperti di nucleare. Nato a Gonzaga in provincia di Milano e laureatosi in fisica al Politecnico, oggi è cittadino americano dopo una vita passata a lavorare per il Massachusetts Institute of Technology di Boston, dove ha diretto il programma di ricerca sulla fusione nucleare. In questi giorni il professore è in Italia impegnato in un tour istituzionale proprio per rilanciare la sua “seconda via”. Noi l’abbiamo intercettato a Milano, dove è stato ospite al Pirellone. Fatte le premesse del caso tuffiamoci sul progetto. Davvero è possibile arrivare in pochi anni a trovare la chiave per l’accensione della fusione nucleare e successivamente avviare la produzione di energia pulita? La risposta è: «Sì.Il progetto che ho messo a punto si chiama Ignitor. Per realizzarlo ci vogliono 100/150 milioni e la macchina che porterà all’innesco della fusione è grande un ottantesimo rispetto a quella di Iter». E non è tutto: «L’altra cosa interessante è che l’Italia ha tutte le conoscenze e soprattutto le imprese per produrre tutto in casa». Il progetto partito dal Mit in questi anni ha avuto un po’ di alti e bassi. Partito negli Usa aveva trovato interesse anche in Italia, ma poi i fondi messi a disposizione sono stati congelati per non meglio precisati motivi.

 

 

Ma Coppi non si è arreso: «Ci sono imprese private che stanno portando avanti la sperimentazione in Inghilterra, Germania e Stati Uniti». Anche la Russia era interessata: «Ci sono stati incontri siamo andati a visionare un sito alla periferia di Mosca - racconta -, poi lo scoppio della guerra con l’Ucraina ha bloccato la cooperazione tra Italia e Russia».
Quello che il professore non capisce, però, è perché «anche il pubblico in Italia non torni a investire su Ignitor». Da qui l’appello alle istituzioni che, già al Pirellone ha raccolto più di un interesse. In effetti il dubbio è lecito: se l’Italia investe più o meno sei miliardi di euro per un progetto che, se tutto va bene, finirà la sua fase di sperimentazione nel 2050; perché non mette a disposizione 100/150 milioni per arrivare in fondo a un progetto che promette risposte in pochi anni? Tra l’altro il piano d’azione è già pronto: «Il sito dell’ex centrale di Caorso, in provincia di Piacenza, è l’ideale. Abbiamo già fatto studi di fattibilità che vanno solo aggiornati. Bastano pochi aggiustamenti strutturali e si potrebbe partire con la costruzione della macchina di accensione. Una volta sperimentato che funziona si dovrebbe procedere alla costruzione di un reattore dalle dimensioni contenute». Proprio la dimensione del reattore è la chiave vincente, perché dopo studi mirati, questi reattori potrebbero essere piazzati fin da subito nei siti nucleari italiani, senza bisogno di grandi lavori di realizzazione. Ad essere contenuto, poi, non è solo la dimensione, ma anche il rischio: «Rispetto ai tradizionali reattori a fissione, il vantaggio è che la fusione viene alimentato da una fonte di energia, se succede qualche cosa - spiega Coppi basta togliere l’energia e il reattore si ferma».

 

 

Nessun effetto Chernobyl. A questo punto manca solo l’anello di congiunzione tra l’idea e la sue realizzazione: la politica. Un primo passo in questo senso si è compiuto lunedì scorso al Pirellone, grazie al lavoro del consigliere regionale leghista Riccardo Pase, che ha messo attorno aun tavolo Consiglieri regionali, l’assessore all’Ambiente Giorgio Maione e alcune grandi e medie aziende molto interessate a riprendere il discorso di Coppi. «Sono contento di aver contribuito alla realizzazione di questo incontro - dice Pase -. La fusione non è l’energia del futuro, è già qui. Ci sono molti progetti in itinere in tutto il mondo, molti derivano dagli studi del professor Coppi. L’Italia non si lasci scappare questa occasione. Noi presto rimetteremo assieme scienziati, politici e stakeholder nel corso di un convegno che avrà lo scopo di condividere un percorso che veda la Lombardia e l’Italia protagoniste del nucleare pulito». Col professor Coppi ci sia- mo tolti un ultimo sfizio e gli abbiamo chiesto che idea si è fatto, vivendo negli Usa, del dibattito sul nucleare che è riesploso in Italia. «Il problema è che dal referendum in avanti è stata distrutta la cultura del nucleare, sia sulla fissione sia sulla fusione, ed è un peccato, perché l’Italia su questi temi è sempre stata all’avanguardia». Per Coppi a penalizzare il nostro Paese, però, non è stato solo il referendum: «Non è un segreto che ci sono grandi interessi legati ad altre fonti di energia, così come è ormai chiaro che ci sono altri Paesi a cui farebbe comodo che l’Italia rimanesse tecnologicamente al buio».

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