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Padova, un master per affrontare la morte: un caso unico in Italia

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Alessandro Dell'Orto
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Epicuro nel III secolo a.C. spiegava che «la morte non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è lei, e quando c’è lei non ci siamo più noi». Di fatto, la evitava. Un po’ come Arthur Schopenhauer (filosofo tedesco del XIX secolo), il quale sosteneva che «non c’è rimedio per la nascita e la morte, salvo godersi l’intervallo». Già, meglio far finta di niente e non parlare della fine perché è scomoda, fa paura, è misteriosa. È sempre stato un po’ così, ma adesso è ancora peggio: la morte nella nostra società è di fatto un tabù, anche se siamo circondati da epidemie e guerre, malattie degenerative, parenti o amici allo stadio terminale.

Eppure - in pochi lo sanno c’è un modo per studiare il grande mistero del fine vita e addirittura specializzarsi per poi trovare un lavoro: è un master in Death Studies & The end of Life che ogni anno, dal 2007, si tiene qui all’Università di Padova. «Non è molto pubblicizzato e funziona soprattutto grazie al passaparola, perché in Italia la morte è censurata: la si tratta solo se è sensazionalistica tipo nel periodo del Covid o accattivante, come nei film - spiega Ines Testoni, la direttrice del corso, psicoterapeuta, psicodrammatista e professoressa di Psicologia sociale all’Università di Padova La verità è che la morte è come il sesso: nessuno ne parla, ma interessa a tutti. Andrebbe insegnata regolarmente nelle scuole, invece resta un tabù radicato anche nella religione, perché mette in discussione la fede».

DA COLOMBIA E SVIZZERA
Il master (l’edizione 2023/24 è iniziata lo scorso 4 dicembre e si concluderà a settembre: sono 210 ore di insegnamento, in presenza o da remoto, e costa 2.632,50 euro) è destinato a chi ha una laurea triennale o del vecchio ordinamento, ma chiunque può partecipare in qualità di uditore. 

«Quest’anno gli iscritti sono 40 e in futuro potranno aumentare in base alla richiesta. Il 50 per cento è formato da giovani, l’altra metà da professionisti del settore come medici, assistenti sociali, infermieri. Ci sono molti artisti: attori, musicisti, pittori. Religiosi? Pochissimi. Molte richieste invece arrivando dall’estero: lo scorso anno c’era chi si collegava dalla Colombia e dalla Svizzera», racconta ancora Ines Testoni.

Il corso affronta diversi temi («e alla fine quasi sempre diminuisce o sparisce la paura della morte»): il lutto e i processi psicologici della perdita e relativa elaborazione, la comprensione delle simbologie e rappresentazioni inerenti alla morte nel ciclo di vita e nei diversi contesti culturali, fino alla “death education”, quale strategia educativa e di prevenzione. Non solo. Si imparano elementi di bioetica e biodiritto, counselling tanatologico, sostegno psicologico e filosofico, rapporto fra tanatologia e scienze mediche, psicologiche, filosofiche, sociologiche, antropologiche, storiche fino alla presa in carico e cura del fine vita. «I docenti sono psicologi, medici, antropologi e filosofi che trattano l’argomento da diversi punti di vista e in differenti culture, per offrire una visione più ampia e sfaccettata sul morire e sulla morte. Il programma prevede un focus sulle differenze di atteggiamento e interpretazione in altri Paesi, per imparare a rispondere alle esigenze che emergono in contesti sempre più multiculturali, così come la possibilità di elaborare le rappresentazioni personali della morte e di aprire riflessioni sul tema dell’eternità. La parte esperienziale del corso utilizza l’arteterapia, lo psicodramma e la terapia attraverso le immagini sia per fare un percorso intimo e condiviso sui temi trattati scambiando idee, emozioni ed esperienze, sia per acquisire strumenti e metodologie che saranno messe in pratica in un project work di gruppo finale».

Studio, pratica, esperienza, ma anche sbocchi professionali. Perché il tema della morte non sparirà mai - ironizza qualcuno- ma soprattutto perché vengono forniti strumenti utili per collaborare con i servizi per le cure palliative, con i servizi territoriali che utilizzino reti di mutuo auto aiuto e volontariato, per il counselling in tanatologia e accompagnamento per la morte e il morire. «Avere questo master a curriculum sicuramente aiuta nei bandi e nei concorsi - precisa Ines Testoni - Il mio primo lutto? Da bambina, quando mi è morto il gatto: chiedevo a tutti il perché fosse successo e le uniche risposte ricevute erano “Pensa ad altro”. Il caso Welby nel 2006 (il primo malato ad ottenere il fine vita legale, ndr) poi mi ha dato la spinta per creare questo master. L’eutanasia? Offriamo competenze di biodiritto e bioetica in modo che ognuno si faccia la sua idea senza essere influenzato».

IL PODCAST DI DAVIDE
Parlare di morte, lutto, dolore ha una pesantezza differente qui, in questi corridoi e in queste aule. Anzi, un’inaspettata leggerezza. «Perché il confronto aiuta e lo sappiamo bene noi che il master l’abbiamo appena terminato- spiega Davide Fina, 33 anni, uno degli studenti che hanno frequentato l’ultima edizione -. Sono laureato in economia delle arti, ma la morte di mia mamma nel 2021 mi ha spinto a questo master, avevo bisogno di elaborare e studiare, capire. L’approccio pratico delle lezioni ti conquista: laboratori con un musica, oggetti, terra. Soprattutto, sono coinvolgenti i gruppi di lavoro: ci si incontra e si scambiano opinioni, ci si consigliano libri. Si fa cadere il tabù. Pensi che una studentessa degli scorsi anni, dopo il master, ha dato vita al primo Death Cafe a Verona, bar dove ci si trova per parlare di morte». 

Anche Davide ora ha un progetto ben preciso. «Sto preparando un podcast che prende spunto dal master, ma raccontando la morte con semplicità per spiegarla a tutti, non solo agli addetti ai lavori, e in modo brillante. Il sito è già pronto (www.podcastdellamorte.it) e tra poco caricheremo le prime puntate». Un altro modo intelligente - moderno e diretto per parlare del mistero di fine vita e prepararsi, confrontarsi, ascoltare, imparare. Senza far finta che non esista. Perché tanto, come disse Seneca, «Niente è sicuro fuorché la morte».

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