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Israele, dal 7 ottobre raddoppiati i casi di antisemitismo in Italia: colpa della propaganda

Andrea Morigi
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Un’ondata di odio come non si vedeva da oltre quarant’anni sta investendo gli ebrei italiani. E ne conosciamo soltanto la parte che affiora grazie all’Osservatorio antisemitismo della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, che dal 1975 raccoglie e analizza le segnalazioni di episodi di intolleranza. L’anno scorso, scrivono nella loro Relazione annuale, sono stati registrati 454 casi, quasi il doppio rispetto ai 241 del 2022, con un’accelerazione impressionante a partire dal 7 ottobre scorso, misurabile in 216 atti. Sarebbe da ingenui sorprendersi, considerando che quella data coincide con il massacro compiuto dai terroristi islamici di Hamas, dal quale in teoria sarebbe dovuto semmai scaturire un moto di solidarietà e vicinanza nei confronti del popolo israeliano. Ma il jihad globale non pretende soltanto il sangue e la vita dei nemici: l’obiettivo è assoggettare il mondo intero all’islam.

Proprio in quella prospettiva bellica si è scatenata la macchina della propaganda. In Italia, il brodo di coltura era già pronto, grazie a un secolare antigiudaismo, sul quale si sono innestati via via la dottrina della razza nazionalsocialista, le teorie del complotto, ma anche tematiche più care alla sinistra, come l’anticapitalismo diffuso dai movimenti “antagonisti” e la narrativa storica woke, che individua in Israele “l’ultima colonia bianca” responsabile della presunta “occupazione” dei territori “palestinesi”. Ed è da lì che nasce l’equiparazione fra sionismo e nazismo, che comunque va paradossalmente a sfociare in un rimpianto per l’interruzione dello sterminio da parte del III Reich.

 

 

RADICI CULTURALI
È da quelle idee che nascono poi i fatti, vale a dire le minacce di morte scritte sui muri interni di locali frequentati da ebrei, le lettere minatorie, le aggressioni fisiche, le intimidazioni che alcuni e alcune non osano nemmeno denunciare per timore di alzare il livello dello scontro. E la guerra psicologica si alimenta proprio attraverso le «radici culturali che animano questo tipo di episodi», spiega Stefano Gatti, dell’Osservatorio antisemitismo, durante la presentazione dello studio nel quale si ipotizza che «gli smottamenti economici, la precarizzazione del lavoro e la percezione di un’immigrazione incontrollata» spingano a «cercare ancoraggi identitari fondati sulla primazia degli italiani e sulle subculture xenofobe e razziste».

Poi però, da quattro mesi a questa parte, «si è verificata una netta rottura con il passato», con un «forte incremento dell’attività dei gruppi BDS in alcune università». L’elemento di continuità è la caccia al capro espiatorio, da sacrificare per liberarsi dalle colpe (sempre altrui). Si potrebbe spiegare così la mezuzah (un passo della Bibbia) strappata e al posto della quale, sulla porta di casa di un professionista milanese, il 13 novembre scorso è stato conficcato un pugnale. Ormai, spiegano i curatori, «circa metà degli atti contro gli ebrei che si consumano offline», cioè nella vita reale. Significa che c’è un pericolo fisico per la sicurezza degli italiani di fede israelita.

 

 

FUORI DAL GHETTO
Ecco perché non si vedono quasi più kippah per le strade e perché alcuni nascondono la stella di David che portano al collo. Come se lo spavento per i segnali di una persecuzione in arrivo sconsigliasse a una minoranza, che conta appena 25mila appartenenti, di esporsi troppo. Del resto, una rilevazione di tre anni fa indicava il 19% degli italiani oscillante fra moderatamente e fortemente antisemita. Il che equivarrebbe a oltre 11 milioni di persone (contando anche i minorenni) su cui hanno fatto presa luoghi comuni di vario genere sugli ebrei, mentre oggi addirittura il 45% (cioè 27 milioni) si dichiarerebbe ostile a Israele. In realtà, una strategia non limitata alla sopravvivenza c’è. Da parte del governo non solo sono state rinforzate le misure di protezione delle istituzioni ebraiche, ma è stato nominato un coordinatore perla lotta all’antisemitismo nella persona del generale Pasquale Angelosanto. Tutti sforzi che apparirebbero vani di fronte al negazionismo della Shoah, riemerso dai ristretti circoli di ammiratori di Adolf Hitler, quest’ultimo pure sdoganato sul web sociale. E non basta nemmeno celebrare il Giorno della Memoria. A qualcosa è servito anche il Digital Service Act, che impone la rimozione di contenuti offensivi dalle piattaforme telematiche, ma la censura rimane pur sempre un’arma difensiva, utile a patto che si attui anche una controffensiva. Perché, dopo la diagnosi, occorrono anche gli anticorpi, ancora presenti in quel 27% degli italiani che, nonostante la propaganda contraria, giudicano comprensibile la reazione di Israele contro il terrorismo perché pensano che Roma e Gerusalemme non siano territori di conquista.

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