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Bayesian, l'esperto e la verità sul naufragio: "Errore umano? No, cos'è successo veramente"

Claudia Osmetti
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«È una disgrazia, non c’è nessuna colpa». Gino Ciriaci è un perito nautico che dal 1974 fa consulenza tecnica e commerciale sul mondo delle barche. È anche un signore molto preparato e disponibile, Ciriaci, livornese di nascita, ex direttore di cantiere, architetto, uno con una parlantina svelta che però, da buon toscano, va dritto al punto: «Guardi, immagini di essere sulla sua automobile, sulla sua Cinquecento», spiega, «e all’uscita di una galleria piglia una bella “sventolata”. Cosa le può succedere? Si ribalta. Sono cose che purtroppo capitano. E capitano anche quando si va per mare».

Dottor Ciriaci, però qui parliamo di una barca imponente. Solo l’albero era alto 72 metri...
«Ecco, la fermo subito perché proprio questo è il punto. Se fosse stata una barca bassissima forse sarebbe andata diversamente. Ma la Bayesian, proprio per via del suo albero, che è quello più alto finora costruito, o almeno così ho letto, offriva al vento una resistenza tremenda».

Cioè?
«Un albero così alto, e di conseguenza anche grosso, esercitava una pressione molto forte. E tra l’altro non si esaurisce tutto qui».

In che senso?
«C’è dell’altro. La sovrastruttura della barca; il “sartiame”, che sono quei cavi di acciaio che reggono gli alberi (sulla Bayesian gli alberi erano due: ndr); e poi le “cime”, ossia quelle corde che invece sono necessarie per manovrare le vele e che restano sempre lì. Tutte queste cose fanno la resistenza di una barca. E qui stiamo parlando di un regime nell’ordine delle tonnellate. È vero che sotto aveva un “bulbo”, un grosso contrappeso, una pinna che è anche pesante, ma non dimentichiamo il braccio di leva».

 

 

 

Un attimo, mi sto perdendo. Come ha influito tutto questo? Lo spieghi a chi è a digiuno di termini tecnici: una barca “pesante” non è anche più stabile?
«Quando una barca incontra una bufera, chè quello di ieri mattina a Porticello non era un vento normale, il vento può girarla e, diciamo, prenderla di fianco, facendola ribaltare. In gergo si dice: “L’ha fatta scuffiare”. Succede, non è strano. Non sappiamo neanche se la Bayesian abbia urtato contro il fondo, cosa che sarebbe anche peggiore. In condizioni normali una barca ancorata (come lo era quella di cui stiamo parlando) può girare a seconda del vento, ma quella era grande e non ce l’ha fatta a girare quando è arrivata la botta».

L’albero si è anche rotto, vero?
«Al momento non sappiamo se sia successo cadendo in acqua o prima, quando è arrivato il vento. Direi che è più verosimile che, cadendo, la barca in acqua abbia picchiato con l’albero e abbia trovato la resistenza nell’acqua. È un’ipotesi non peregrina. Anche se sempre un’ipotesi». Eppure ce n’era un’altra, di barca, nei paraggi e non è affondata. Perché? «Non sappiamo che barca fosse l’altra. Se era pesante ma larga allora aveva molta più difficoltà a sbandare e a inclinarsi. Un po’ come i catamarani, ha presente? Sono larghi sei metri e hanno due scafi: in quel caso sì, il braccio di leva aiuta. Tuttavia, se ti arriva una cosa improvvisa e non collaudata come quella, è una disgrazia e basta. Purtroppo».

Certo. Capita spesso?
«No, non è affatto frequente. C’è stata, qualche anno fa, una bufera simile che di botto è arrivata al Golfo della Girolata, in Corsica. Sessanta barche, sia a vele che a motore, sono finite sulla spiaggia perché la botta è stata tale che le ha prese e le ha buttate tutte a terra. La Bayesian è rimasta in mare e s’è spezzato il suo albero. Siamo onesti, quando c’è un vento di quella forza butta giù anche gli alberi in città. Non vedo colpe né possibilità di evitarlo».

 

 

 

Neanche con un equipaggio sveglio? Era addirittura notte fonda...
«No, ascolti. Purtroppo anche se fossero stati svegli mica l’avrebbero vista, questa sventolata che stava arrivando loro addosso. Come avrebbero potuto? Non potevano. Al massimo avrebbero detto: “Il vento rinfresca”. È triste, ma non c’era molto da fare». 

 

 

 

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