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Il troppo amore di un padre che difende il figlio che lo ferisce (e così fa il suo male)

Lucia Esposito
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Nelle pieghe della cronaca si nascondono storie che risuonano d’eternità, contengono qualcosa di potentemente epico. Ieri arriva la notizia di un papà accoltellato alla schiena da suo figlio di diciassette anni. Sanguina, è spezzato in due, chiama l’ambulanza, arriva il 113, ma quando gli chiedono che cosa sia successo, inventa una bugia. Dice di aver sorpreso un ladro nel suo giardino e di essere stato ferito da lui. Vuole salvare il suo ragazzo, quello stesso che poco prima gli si era avventato contro con la rabbia furiosa di un potenziale assassino. Il suo primo pensiero non è curarsi le ferite, ma togliere dai guai il figlio. Si carica il peso della menzogna. Una bugia d’amore che commuove.

Qui l’eroe è Anchise che prende sulle spalle il giovane Enea per sottrarlo alla legge della giustizia e a quella degli uomini. Il figlio è innocente, il colpevole è uno sconosciuto. E chissà, forse inventando la fandonia del ladro quest’uomo ha cercato di raccontare anche a se stesso la storia del furfante sconosciuto, perché per un padre è insopportabile l’idea che il proprio figlio possa diventare improvvisamente un mostro capace di tutto, anche di accoltellarlo.

 

 

Gli investigatori stilano il verbale, avviano le verifiche mentre l’ambulanza con a bordo l’uomo corre verso l’ospedale. La messinscena è riuscita, il ragazzo è salvo. Ma ecco che al 113 arriva un’altra chiamata. Stavolta è la mamma. È disperata, chiede aiuto, dice che in casa c’è uno sconosciuto che la minaccia con un machete. Quando i poliziotti arrivano, trovano il diciassettenne furioso che sfascia la casa e terrorizza sua mamma. Sul tavolo c’è anche il grosso coltello con cui poco prima aveva colpito il papà. A questo punto la drammatica verità è sotto gli occhi e la donna deve confessare l’inconfessabile. Il figlio ha accoltellato il padre e stava per infierire anche su di lei. Il ragazzo è stato arrestato e rinchiuso nel carcere minorile di Quartucciu.

Premesso che probabilmente tanti genitori, forse anche chi scrive, avrebbero discolpato l’adolescente - perché l’amore per la prole è più forte della rabbia e del più insopportabile dolore fisico e perché la parola “perdono” non si applica ai figli di cui cancelliamo tutte le colpe e spesso non riusciamo a vedere neanche le crepe che si aprono nelle loro menti - tuttavia, viene da chiedersi quale messaggio educativo mandiamo ai nostri ragazzi. È doveroso domandarsi se il troppo amore li danneggi invece di proteggerli. Tutto è permesso perché ci sono mamma e papà che ti tolgono gli ostacoli dalla strada. Puoi anche provare ad ammazzare tuo padre e dopo minacciare tua madre, tanto non ti consegneranno alla giustizia. Il loro troppo amore è uno scudo che ti impedisce di diventare grande, di assumerti le responsabilità delle tue azioni, di capire che non c’è una rete di protezione pronta a raccoglierti se cadi nel vuoto, un amore che non ti fa dispiegare le ali e volare alto. Mamme e papà sono eterne scialuppe di salvataggio, un pronto intervento attivo 24 ore su 24 che però ti impedisce di usare la tua cassetta degli attrezzi emotiva, ti espone al rischio della dipendenza e all’incapacità di trovare da solo la strada verso il futuro.

È accaduto a questi poveri genitori davanti a un fatto tremendo, ma capita ogni giorno di vedere mamma e papà farsi difensori agguerriti dei figli davanti al tribunale della vita, pronti a denunciare un professore per un brutto voto e, durante le partite di calcio, trasformarsi in ultrà e inveire contro i ragazzini della squadra avversaria perché hanno osato fare goal impedendo ai figli- tutti Mbappé in erba- di andare avanti nel campionato parrocchiale. Madri e padri che abdicano al loro ruolo educativo e diventano allenatori e insegnanti perché vogliono che i propri figli siano sempre i più bravi a scuola, i più forti nello sport. Li difendono dalle ingiustizie, vere o presunte, si accollano i loro dolori rendendo la loro esistenza levigata come seta. Stirano le pieghe delle difficoltà, srotolano tappeti rossi sul loro cammino perché non inciampino e non si facciano male ai piedi. Come se educare significasse solo proteggere e amare solo difendere. E così i nostri figli credono di essere invincibili ma sono fragili e impreparati ad affrontare da soli le tempeste che nella vita, prima o poi, arrivano.

 

 

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