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Giovanna Anselmi: "La liberazione dell'Elba? Un incubo, i neri ci stupravano"

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di Alessandro Dell'Orto, inviato a Marciana Marina (Li)

Signora Giovanna, sa che a pochi km da qui, a Marciana Alta, vive Angiolo Ferrini che ci ha raccontato di essere suo parente?
«Sì, ma è vecchio».

Beh, 101 anni, 5 meno di lei.
«Giusto. Siamo imparentati da parte di sua moglie, che era una Anselmi. L'altro giorno, invece, è stato qui a trovarmi mio nipote Marchilio Anselmi, che abita a Portoferraio, e abbiamo festeggiato il suo compleanno: ne ha fatti 100».

Questa è una zona incredibile: quale è il segreto che vi fa diventare centenari? Il cibo?
«No, io mangio di tutto: l’altro giorno cozze, ieri parmigiana. Amo i gamberi, le ostriche, lo stoccafisso. Come antipasto, però, a pranzo e cena, mi prendo sempre un brodino».

Se non è l’alimentazione, allora, cosa fa la differenza?
«Forse l’aria buona, qui c’è meno inquinamento. E non conosciamo lo stress: guardi che cielo, che mare».

A proposito di mare, lei ci va ancora in spiaggia?
«No, ormai esco poco: fino a quattro anni fa vivevo sola, camminavo, curavo l’orto e andavo in paese, ma ora faccio fatica a muovermi. E mi innervosisco perché non posso fare quello che voglio. Quando succede divento noiosa, mi viene voglia di dare cazzotti a qualcuno».

Che caratterino vivace, Giovanna. Com’è la sua giornata tipo? La tv la guarda?
«Ci vedo poco e sento male, sicché a volte non capisco bene quello che dicono e mi arrabbio. Però seguo i telegiornali e i programmi di cucina, mi garbano quelli dello chef Pappagallo. Ogni sera invece ascolto il rosario».

È molto religiosa?
«Sì e ogni primo venerdì del mese viene il prete per la comunione».

Altre visite?
«I nipoti, gli amici. Ma io non sono una chiacchierona: preferisco ascoltare, che non si sbaglia mai».

Verissimo, molto saggia.
«Mi piace farmi raccontare cosa succede in paese».

Un po’ di pettegolezzo...
«Sì, mi garba sapere chi si sposa, chi fa figlioli. Anche perché conosco un po’ tutti: mi sono trasferita a Marciana Marina quando avevo 13 anni».

Torniamoci, indietro nel tempo. All’inizio del secolo scorso e alla piccola Giovanna Anselmi.
«Nasco il 2 luglio 1918 a Marciana Alta».

Famiglia numerosa?
«Siamo dieci fratelli, ma mamma ha avuto diciassette gravidanze e sette non sono andate a buon fine. Io sono la più piccina e ora, nel 2024, l’unica ancora in vita: gli altri sono morti tutti nell’ordine in cui sono nati».

Perché quello sguardo un po’ triste?
«Quando arrivo io Marchilio, il fratello più grande, sta combattendo nella Prima Guerra Mondiale. Ogni volta che riesce a sentire mamma chiede: “Come sta la bimba?”.
Purtroppo morirà al fronte e non lo conoscerò mai».

I suoi genitori di cosa si occupano?
«Babbo Giovanni ogni giorno va a lavorare a piedi in cementeria a Portoferraio».

Urca, tra andata e ritorno sono più di 30 km.
Quando torna, poi, gestisce la vigna: la produzione di vino è quasi di 130 ettolitri.
Mamma Alaide accudisce i figli e lo aiuta».

E lei che bambina è?
«Sempre malaticcia, ma molto coccolata perché sono l’ultima. E dispettosa con i fratelli».

Scuole?
«Fino alla quarta elementare, poi smetto perché non mi piace studiare. Meglio giocare».

Giovanna, ci faccia tornare bimbi di inizio secolo: in quegli anni a cosa giocate?
«Girotondo, nascondino, trottole».

Dopo la scuola inizia subito a lavorare?
«Faccio la contadina e do una mano in casa».

Primi fidanzatini?
«Nessuno fino al matrimonio con Gino. Mio marito però lo conosco quando sono grande e ho già 31 anni. Prima ci impediscono di parlare con i ragazzi».

Poi raccontiamo bene. Nel frattempo, però scoppia la guerra.
«Un disastro. La mia famiglia è antifascista, i tedeschi ci perseguitano. Viviamo in un punto dell’Elba dal quale molti partigiani partono in barca per cercare di scappare in Corsica, sicché le SS vengono spesso a controllare se aiutiamo qualcuno. E mio fratello Mario per due mesi è costretto a nascondersi».
 

Dove?
«In una grotta, tra gli scogli: ogni giorno andiamo a dargli da mangiare con una barca a remi senza farci vedere. Luigi, invece, altro mio fratello, viene preso e portato a San Martino, vicino a Portoferraio, lo legano a un ulivo e sono pronti per fucilarlo».

Si salva?
«Mia sorella e il mio babbo corrono là, chiedono di parlare con il comando di Piombino per chiedere la liberazione. Poco prima dell’esecuzione arriva il contrordine: “Hanno detto di lasciarli andare”».

Che momenti terribili.
«I tedeschi li ho odiati, ancora non mi è passato questo sto in gran parte da truppe provenienti dal Senegal e dal Marocco - il quale, per 48 ore, ha terrorizzato la popolazione con rapine, violenze e strupri. Sguardo attento, sorriso dolcissimo e riflessioni mai banali, Giovanna ora esce poco, ma è aggiornatissima sul quanto succede a Marciana Marina («Sì, fare un po’ di pettegolezzo mi piace»), dove vive da 93 anni. sentimento. Quando sento citare la Germania mi viene la rabbia, se qualche turista parla in tedesco mi infastidisco. Abbiamo sofferto troppo».


Il 17 giugno 1944 gli Alleati sbarcano all’Isola d’Elba per liberarla. Ma con l’operazione “Brassard” per voi inizia un nuovo incubo: l’esercito francese è composto in gran parte da truppe coloniali provenienti da Senegal e Marocco, che mettono in fuga i tedeschi, ma poi per 48 ore diventano il terrore della gente con rapine, violenze e soprattutto stupri: i documenti dell’epoca ne accertano almeno duecento.
«Una tragedia nella tragedia. Due mie amiche, sorelle, vengono inseguite: una riesce a fuggire, l’altra viene presa, portata nei boschi e violentata».
 

Sono militari africani.
«Una novità per noi, che fino a quel momento non abbiamo mai incontrato ragazzi di colore. Mio fratello mi dice: “Vuoi vedere un uomo nero?
Vieni con me”. E mi porta, di nascosto, tra gli alberi a spiare da lontano i militari marocchini».

Voi rischiate?
«Sì, arrivano a casa nostra. Il babbo nasconde noi donne in un soppalco sotto il tetto. Dobbiamo stare in assoluto silenzio e molto attente a non fare rumori nemmeno spostandoci sui materassi di foglie».

E i soldati che chiedono di voi li sente?
«Sì, ma non capisco cosa dicono perché parlano in francese. I miei fratelli spiegano che in casa non ci sono donne, se vogliono però possono portarsi via delle galline. Ci credono e accettano, per fortuna».

Si racconta che a Portoferraio una certa Olimpia Mibelli Ferrini si sia offerta ai militari e abbia salvato molte donne dagli stupri. Proprio poche settimane fa, dopo 80 anni, le hanno dedicato una via. Lei l’ha mai conosciuta?
«No. Ma le storie di quelle tragiche 48 ore sono tante, tantissime. Si diceva, per esempio, di una ragazza che, inseguita dai soldati neri, si è buttata in un tombino della fogna restando fuori solo con la testa: quando l’hanno presa era talmente sporca e puzzolente che l’hanno lasciata libera».

Giovanna, domanda secca: peggio i tedeschi o gli Alleati africani?
«I tedeschi, che sono stati qui più tempo facendoci di tutto».

Prima diceva del suo fidanzamento dopo la guerra.
«Combinato dalla famiglia. Mio fratello Livio un giorno mi dice che c’è un ragazzo di Marciana che è un gran lavoratore e va bene per me: si chiama Gino. A me non piace, è piccoletto, non lo conosco e non lo voglio, ma non posso dire di no. Poco dopo lui mi scrive una lettera in cui si dichiara e ci fidanziamo: ogni sera fa 4 km per venirmi a trovare a piedi. Quando è a casa però il babbo lo controlla: “Gino, tieni le mani ben visibili sul tavolo”».
 

Alla fine vi sposate e fate tre figli.
«Nel 1950 nasce Adolfo, nel ’53 Loretta e nel ’57 Giuliana».

Scusi la curiosità: il nome Adolfo non è proprio da antifascisti...
«Era usanza chiamare i figli come i nonni: nonno Adolfo si chiamava cosi molto prima che arrivasse Hitler».

Ah ecco. Il vostro matrimonio, pur se combinato, funziona?
«Sì e non mi posso lamentare: Gino è sempre stato buono e mi ha voluto bene. Anche se forse era un po’ birichino...».

In che senso?
«Gli piacevano le ragazze e per lavoro è stato tre anni a pescare baccalà in Groenlandia, poi si è imbarcato per l’America e per il Brasile».

Era gelosa?
«Non mi ha mai dato l’occasione. Dicevo: chissà quante corna mi metti. Lui negava. Gino è morto nel 2002 a 85 anni».

Lei ha mai viaggiato?
«No, sempre stata qui all’Isola d’Elba, a parte un paio di giorni a Genova e Livorno per delle visite. Ma sono felice così, adoro la mia terra. E poi ho sempre lavorato tutta la vita».

Cosa faceva?
«Ero impegnata nelle vigne, zappavo e vendemmiavo».

Giovanna, ultime domande veloci.
1) Ha paura della morte?

«La morte fa paura a tutti. A volte penso: “Vorrei andarmene”. Ma poco dopo, se rifletto con calma, mi dico: “Che pensiero assurdo”».

2) L’invenzione che più l’ha stupita in 106 anni?
«La tv. Le prime volte la guardavo e mi chiedevo: “Come fanno a uscire le parole? Da dove vengono le immagini?”».

3) Cosa pensa dei giovani?
«Non mi piacciono, hanno comportamenti sbagliati, senza coscienza».

4) A luglio ha compiuto 106 anni, ma quanti se ne sente come spirito?
«Un’ottantina, non di più».

5) C’è qualcuno che vorrebbe riabbracciare?
«La mia mamma Alaide, donna meravigliosa».

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