Referendum, polemiche pretestuose per la Costituzione: votare è una scelta, non un obbligo

Il costituzionalista Guzzetta. dal punto di vista giuridico astenersi è un’opzione legittima. La previsione di un quorum conferma che non c’è un "dovere civico" di recarsi ai seggi
di Giovanni Guzzetta*mercoledì 4 giugno 2025
Referendum, polemiche pretestuose per la Costituzione: votare è una scelta, non un obbligo
4' di lettura

*Costituzionalista

Tanto rumore per nulla. Secondo una tradizione ormai ricorrente a ogni tornata referendaria ricominciano le polemiche sulla partecipazione al voto. Il tema è quello dell’invito all’astensione. Com’è noto, infatti, l’art. 75 della Costituzione prevede che, per essere valida, la consultazione debba registrare la partecipazione della maggioranza degli aventi diritto.

In astratto, su questo principio, c’è l’accordo di tutti. E le ragioni sono le stesse che hanno indotto i costituenti a prevederlo. Il referendum abrogativo, infatti, consiste nella scelta di far venir meno una legge o parte di essa precedentemente approvata dal Parlamento. Il corpo elettorale, insomma, può sconfessare il Parlamento, cioè i propri stessi rappresentanti. Insomma, si tratta di conflitto interno alla democrazia. Consapevoli di ciò i nostri padri costituenti hanno voluto scongiurare che pochi partecipanti al voto fossero in condizione di cambiare una legge espressione di una volontà rappresentativa comunque democratica.

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SISTEMA ISTITUZIONALE
Tanto più che, in un sistema istituzionale che ruota intorno alla scelta fondamentale per il sistema rappresentativo, i cittadini hanno tutto il diritto di valutare se la questione oggetto del referendum sia per essi così rilevante da giustificare una mobilitazione popolare a sostegno o anche in opposizione. Giuridicamente, insomma, nel nostro ordinamento costituzionale partecipare al referendum abrogativo non è un obbligo, ma un’opportunità. La scelta di non partecipare si può valutare politicamente come si vuole, ma essa è certamente giuridicamente lecita. Né vale evocare l’art. 48 della Costituzione, il quale prevede che il voto sia un “dovere civico”. Infatti, proprio la previsione di un quorum di validità, conferma che, nel caso del referendum abrogativo, il “dovere civico” di partecipare al voto non valga. Insomma, per dirla in termini tecnici, la previsione dell’art. 75 è una deroga al principio di cui all’art. 48.

Sarebbe infatti contraddittorio prevedere la possibilità dell’astensione (con la conseguenza di invalidare il referendum se non si raggiunga il quorum) se tutti fossero obbligati a partecipare. Un comportamento (non votare) non può essere allo stesso tempo lecito e doveroso. La logica non lo consente. Ciò comporta, come non si sono stancati di ricordare anche alcuni Presidenti della Repubblica, che tutti i possibili atteggiamenti (astensione, voto favorevole e voto contrario) sono costituzionalmente leciti, così come giuridicamente lecito è manifestare la volontà di assumerli o invitare altri, nel dibattito pubblico, a comportarsi di conseguenza.

Ciò, del resto, è successo infinite volte nella storia dei referendum. In tanti, da destra a sinistra, hanno fatto propaganda per l’astensione. Si può non condividere questa scelta, criticarla politicamente, ma non se ne può contestare la legittimità. Soprattutto perché se così si facesse ci troveremmo nella surreale situazione di corto circuito. Perché tante volte è successo che gli stessi partiti, movimenti e leader abbiano sostenuto in certe occasioni l’astensione, contestandola vibratamente in altre.

Ma fin quando la polemica restasse sul piano politico dovremmo dire che fa parte delle regole del gioco. Il calcolo delle opportunità è consustanziale alla politica. Più grave, invece, è il caso in cui - con ostentato scandalo e paternalistico cipiglio- si pretenda quando conviene - di attaccare chi propugna l’astensione trincerandosi dietro l’evocazione di inesistenti principi costituzionali. L’uso di invocare la Costituzione per puntellare legittime posizioni politiche è purtroppo un vizio frequente nel nostro paese, in cui, dall’oggi al domani, tutti diventano consumati costituzionalisti, anche senza aver mai letto la Costituzione. L’abitudine di usare la Carta à la carte è forse la peggiore mancanza di rispetto per lo sforzo compiuto dai nostri padri costituenti. Sul piano politico, invece, si può discutere, e forse sarebbe giunto il momento di discutere, se il quorum previsto nella Costituzione sia oggi ancora il più adeguato in una società in cui l’astensionismo ha assunto proporzioni fisiologiche molto più alte che nel 1948.

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LA COMMISSIONE DEI 75
Del resto su questo punto gli stessi costituenti discussero a lungo. Nel progetto di Costituzione licenziato alla commissione dei 75 la proposta era per un quorum di 2/5, in Assemblea Paolo Rossi propose invece i 3/5, cosicché alla fine si giunse all’attuale compromesso della metà più uno dei partecipanti. Questa scelta muoveva dall’idea che la partecipazione politica sarebbe stata, come in effetti fu nei primi decenni della Repubblica, estremamente alta. Oggi il mondo è cambiato e non sarebbe scandaloso interrogarsi se non sia il caso di abbassare l’asticella, considerando che, anche alle elezioni politiche, in cui votare sarebbe sì un dovere civico, ormai l’affluenza è pericolosamente sempre più vicina a quella del 50 per cento. Ma questa, appunto, è un’altra storia, che richiederebbe un attento intervento costituzionale, senza l’animosità un po’ ipocrita a cui assistiamo ogni volta che viene convocato un referendum. Insomma, tanto rumore per nulla.

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