Disforia e cambio di sesso: c’è anche chi se ne pente

Secondo uno studio, il 65% delle femmine e il 48% dei maschi è tornato indietro perché si sentiva più a suo agio nell’identificarsi con il proprio genere di origine
di Giorgia Petanilunedì 11 agosto 2025
Disforia e cambio di sesso: c’è anche chi se ne pente

4' di lettura

Cambiare idea. Lo facciamo tutti, soprattutto da giovani, quando i pensieri sono ancora confusi. È un processo naturale, comune a ogni individuo, specialmente quando si è in quella fase in cui il mondo sembra essere un terreno sconosciuto da esplorare. I pensieri, i sogni, le aspettative sono in continuo movimento, e alla consapevolezza di se stessi ci si arriva dopo un lungo percorso di crescita e autoriflessione. In questi giorni, il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge che introduce nuove regole per la somministrazione di farmaci per bloccare la pubertà. Si tratta di quei medicinali utilizzati per la disforia di genere da parte di preadolescenti e adolescenti transgender. L’obiettivo è quello di tutelare la salute dei minori, ma c’è chi già punta il dito. Sebbene il disegno di legge non sia ancora stato depositato in Parlamento, è già stato infatti oggetto di contestazione da parte di alcuni attivisti peri diritti delle persone trans, a causa di una versione del testo diffusa da alcuni siti e delle anticipazioni pubblicate dallo stesso governo Un aspetto che ha suscitato polemiche è la creazione di un registro nazionale delle informazioni sulla salute dei pazienti a cui vengono somministrati questi farmaci. Per gli attivisti, questo registro potrebbe essere visto come una forma di “schedatura” delle persone trans giovani e trans. In molti però sembrano non tenere conto delle possibili conseguenze che tali percorsi, se presi con leggerezza, potrebbero portare. Gli attivisti dovrebbero considerare che si tratta di percorsi estremamente complessi, in cui una volta intrapresa la strada della transizione, tornare indietro non è affatto facile.


IL PENTIMENTO E qui arriva un altro punto cruciale che spesso viene trascurato: quanti sono coloro che, una volta intrapreso il percorso di transizione, si pentono della loro scelta? In un dibattito pubblico che si concentra principalmente su chi desidera cambiare sesso, si parla molto meno di chi, al contrario, si è pentito della propria decisione. Questo è un aspetto che, seppur delicato, merita attenzione. La transizione non è un passo che si possa fare e disfare con facilità, non è come andare dal parrucchiere e se da un lato è fondamentale rispettare e sostenere chi desidera affermare la propria identità di genere, dall’altro dovremmo riflettere anche su come accompagnare chi potrebbe trovarsi a voler fare un passo indietro.
 

TESTIMONIANZE Ad aver approfondito questo tema è GenerAzioneD, un’Associazione Culturale apartitica, aconfessionale e priva di scopi di lucro – si legge sul sito – il cui obiettivo è informare in merito alle problematiche della disforia/incongruenza di genere in bambini, adolescenti e giovani adulti. Negli ultimi anni, l’interesse per le persone che decidono di interrompere o invertire il proprio percorso di affermazione di genere, è aumentato. E le testimonianze raccolte dall’associazione offrono una panoramica di quelle che sono le maggiori difficoltà di chi vorrebbe tornare indietro. «Il mio petto è mutilato da pesanti cicatrici... mi manca essere femminile... dal momento in cui mi sono svegliata in sala operatoria, ho capito di aver fatto un errore... eppure ero così sicura della mia identità. Mi sto rendendo conto che ero solo smarrita e avevo perso la testa», racconta una donna detransitioner che si è sottoposta a una terapia di ormoni e a una doppia mastectomia a 15 anni. E c’è chi definisce quanto vissuto come un lutto: «Vivo nel lutto per quella che doveva essere la mia vita... Sono così arrabbiata. Perché l’ho fatto? Non ha nessun senso. Non posso avere figli. Credevo che questo avrebbe sistemato tutto», afferma Jalisa Vine, donna adulta detransitioner che nel corso degli anni si è sottoposta a una terapia di ormoni intersessuali, doppia mastectomia, isterectomia e falloplastica. «Ai miei genitori è stato detto che le opzioni erano la transizione o il suicidio. Si sono rassegnati. I miei genitori, sconvolti, mi volevano viva», lamenta Chloe Cole, una giovane di 18 anni che oltre ad aver assunto bloccanti della pubertà, ormoni intersessuali si è sottoposta anche lei a una doppia mastectomia a soli 15 anni.

LE MOTIVAZIONI
Secondo lo studio Individuals Treated for Gender Dysphoria with Medical and/or Surgical Transition Who Subsequently Detransitioned, sia per i maschi che per le femmine, la ragione più comune per la detransizione (per il 65% delle femmine e per il 48% dei maschi) era che la persona si sentiva più a suo agio nell’identificarsi con il proprio sesso di origine. In particolare, il 55% ritiene di non aver ricevuto una valutazione adeguata da parte di un medico o di un professionista della salute mentale prima di iniziare la transizione, il 46% ha dichiarato che medici e terapeuti hanno fatto troppa pubblicità sui benefici e circa un quarto (26%) ha detto che i consulenti hanno minimizzato i rischi. Secondo invece lo studio a Cross-Sectional Online Survey, Journal of Homosexuality3 (Vandenbussche), la ragione più comunemente riferita per la detransizione è stata quella di rendersi conto che la disforia di genere era legata ad altri problemi (70%); la seconda è stata la preoccupazione per la salute (62%), seguita dal fatto che la transizione non migliorava la disforia (50%). E anche in questo caso a giocare un ruolo importante è stata la scarsa informazione. Il 45% ha riferito di non essere stato sufficientemente informato sui rischi perla salute prima di iniziare la transizione medica o procedere con altri interventi. Inoltre, il 69% riferiva depressione, il 63% ansia e il 33% disturbo da stress post-traumatico.