Viviamo in un mondo in cui la visibilità conta più della verità, in cui si premia chi tace e si adatta, mentre chi si espone viene etichettato come ingenuo o scomodo. In questa società “liquida”, le relazioni si fondano spesso sulla paura dell’impegno, il consenso vale più della coscienza e il coraggio è diventato merce rara. Non parlo del coraggio temerario dell’incosciente, ma di quello lucido di chi resta fedele a sé stesso, anche a costo di pagare un prezzo elevato. Il coraggio è dire ciò che si pensa quando il silenzio converrebbe.
È la forza di rifiutare i compromessi che sviliscono la dignità. È resistere al conformismo, scegliere la verità quando la menzogna garantirebbe gli applausi. In una società che premia l’ambiguità, il coraggioso rischia l’isolamento, la critica, persino l’esclusione. Ma è proprio di queste persone che abbiamo bisogno: non di eroi da copertina, ma di uomini e donne capaci di piccoli, ma significativi atti quotidiani di resistenza morale. Persone che non distolgono lo sguardo di fronte all’ingiustizia, che non svendono la coscienza, che non si accontentano di essere comparse, ma vogliono essere testimoni. Al contrario, siamo circondati da ignavi che, come scrisse Dante nella Commedia, “visser sanza ’nfamia e sanza lodo”, e che riservò loro un destino ancora più misero dell’inferno: esclusi persino da esso, condannati a un’eternità di attesa per la loro vile indifferenza. Non sono una categoria marginale: sono ovunque, trasversali e mimetizzati. Indossano la maschera della rispettabilità, parlano troppo o per niente, senza mai mettere in discussione lo status quo. Sopravvivono, talvolta emergono, proprio perché non disturbano.
Li troviamo nei luoghi di potere, ma anche tra la gente comune. A volte sono brillanti, educati, persino simpatici. Ma quando arriva il momento di scegliere, di difendere ciò che è giusto, si defilano. Il loro silenzio è complice. L’ignavia è l’opposto del coraggio: è vivere nella paura di esporsi, nella volontà di non dispiacere, nell’illusione che il quieto vivere paghi. Il codardo moderno non fugge il pericolo, ma rinuncia all’etica per convenienza. Lascia spazio a chi grida più forte, a chi impone la menzogna come verità, a chi scambia l’arroganza per autorevolezza. Così, l’omologazione e il “politicamente corretto” spinto all’eccesso rendono sospetto chi non si adegua. Siamo sinceri: in molti ambiti – lavoro, politica, religione, media, relazioni – si privilegia l’utile al giusto. L’ignavia non solo è tollerata, ma spesso premiata. Chi si indigna è deriso, chi tace avanza. Così il male non ha più bisogno della violenza per prosperare, ma solo di silenzio compiacente. Senza coraggio, la verità resta muta, la giustizia cieca, la libertà vuota. Essere coraggiosi oggi significa andare controcorrente, non per sterile spirito polemico, ma per fedeltà alla verità e a sé stessi. In un tempo che scambia l’ignavia per prudenza e il conformismo per equilibrio, dovremmo ammirare chi non si adegua, chi è disposto a perdere qualcosa pur di non perdere sé stesso, chi resta in piedi, anche quando tutti si siedono, chi resiste non per diventare un eroe, ma per essere libero