Siamo proprio sicuri che le tragedie storiche la seconda volta si ripetano come farsa? Con buona pace di Marx, la sua era tutt’al più una battuta. Anche perché l’antisemitismo è un fenomeno che percorre come un fiume carsico buona parte della storia umana riaffiorando in superficie con una certa costanza. Sia ben chiaro, oggi per fortuna non si intravede un Hitler all’orizzonte, né c’è chi progetta una “soluzione finale” per la questione ebraica. Almeno in Europa. Eppure, se si mettono in fila tanti episodi isolati, e certe palesi ostilità verso gli ebrei manifestate senza pudore in pubblico da intellettuali e personalità politiche, un paragone storico si impone: non con la Germania nazionalsocialista, ma con il periodo europeo precedente alla prima guerra mondiale di cui ampiamente si occupò Hannah Arendt nella prima parte del suo volume sul totalitarismo.
La filosofa tedesca partì da lì non per instaurare un rapporto di causa-effetto fra l’intolleranza antisemita di quel periodo e il Terzo Reich ma per descrivere il montare nel vecchio continente di un clima antiebraico su cui poi la tragedia successiva poté facilmente stagliarsi. Da questo punto di vista, una vicenda come quella capitata a Treviso ad un cittadino iraniano di fede ebraica il 17 settembre scorso, ma di cui si è avuta notizia solo ieri, non va presa sottogamba. Essa ci dice che oggi, come allora, essere ebrei in Europa, e ahimé anche in Italia, è diventato a dir poco rischioso (qualche giorno una famiglia ebraica è stata persino aggredita in un autogrill lombardo). L’episodio è accaduto invece davanti alla stazione ferroviaria, ove il cittadino di origine ebraica è stato identificato dalla kippah e perciò rifiutato, in quanto “non gradito”, da un taxista in servizio che gli ha chiesto se fosse “sionista”.
L'antisemitismo ormai viene con orgoglio: aggressioni, insulti, blocchi
La lista è drammaticamente lunga. E, per forza di cose, è pure incompleta: perché non tutti denunci...A nulla sono valse le rimostranze del malcapitato che, a quel punto, temendo a ragione per la propria incolumità, ha deciso di non salire sulla vettura. «Sono un ebreo osservante, e dare del sionista a chi porta la kippah equivale a chiamare fascista o mafioso chi parla italiano». Parole sacrosante ma che temiamo non saranno comprese da chi riduce gli individui a gruppi, giudicandoli non propriamente umani o subumani solo perché appartengono a un gruppo inviso. Sfrontatamente il tassista ha poi ribadito il concetto: «Trasporto chiunque - uomini, donne, animali, persone di ogni colore, forma, razza o religione - ma non chi si nasconde dietro a un genocidio». Il nazismo poté realizzare il suo progetto biopolitico, o meglio tanatiopolitico, di “purificazione” della razza perché poté contare anche su tanti “volentersi carnefici” ispirati da potenti centrali propagandistiche.
Le stesse che oggi parlano di “genocidio” senza ragione né storica né teorica o auspicano la nascita di uno Stato palestinese che, allo stato attuale, finirebbe nelle mani di chi vuole eliminare Israele e scacciare gli ebrei dalla loro terra. In una situazione del genere, chi non condanna in modo deciso episodi come questo di Treviso, oppure si trincera dietro parole ambigue, è in qualche modo complice. A sinistra basterebbe ricordare quel che disse Giorgio Napolitano nel 2007: «L’antisionismo è una forma mascherata di antisemitismo». Sembra passato un secolo! Parole vane, col senno del poi.