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Auschwitz, la polemica sulla Roccella e tutta la verità sulle gite

Il campo di concentramento non si può raccontare solo con le immagini in bianco e nero dei documentari e con le pagine dei libri
di Marco Patricellimartedì 14 ottobre 2025
Auschwitz, la polemica sulla Roccella e tutta la verità sulle gite

3' di lettura

I calciatori della Nazionale italiana qualche anno fa furono portati ad Auschwitz su un pullman extralusso, per una trasferta in Polonia alla quale era stata aggiunta una “gita” fuori programma. Non sappiamo quanto di veramente sentito ci fosse nelle dichiarazioni inzuppate nel brodo delle banalità dopo il tour nella “fabbrica dello sterminio”. Ma prima c’era stato qualcuno che nel grande piazzale di Auschwitz, al momento di entrare, sfoggiava un cuffione hi-fi sulla testa per ascoltare musica, tolto solo al momento di dover indossare la cuffietta per ascoltare la guida. Ho accompagnato tante volte gli studenti ad Auschwitz in Polonia e pure a Terezin in Repubblica Ceca. Tappe che i docenti inserivano come base per quelli che si chiamano, politicamente corretti e burocraticamente, viaggi di istruzione invece che gite scolastiche.

Giovani di 18, 19 anni, un po’ come i calciatori più bravi, delle ultime classi dei licei ma anche delle scuole tecniche. Attratti dal rovescio della medaglia, ovvero dalle luci e dalla vita notturna di Cracovia e di Praga, più che dai luoghi della storia dove gli uomini hanno saputo macchiare per sempre ogni senso di umanità. Solo alcune classi erano state preparate dai docenti, e solo alcuni studenti si erano preparati per vedere quello che avevano cercato di capire.

Auschwitz non si può raccontare solo con le immagini in bianco e nero dei documentari e con le pagine dei libri. Auschwitz va vista, va respirata, va vissuta, perché allora sì che ti lascia addosso un senso di sporco attaccato ai vestiti e alla pelle. Quando entrano in contatto con quel mondo assai lontano dal loro i ragazzi lo avvertono. In molti hanno tirato fuori dagli zaini i panini e li hanno divorati nel parcheggio perché non si sa mai quante ore ci vorranno; e hanno staccato i telefonini.

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Lì dentro sono bombardati da quello che è successo dal 1940 al 27 gennaio 1945, la data che hanno dovuto mandare a mente perché quello è il Giorno della memoria. Forse lo ricorderanno davvero per tutta la vita, ma non è detto che lascerà una traccia nell’anima. Chissà quanti universitari che hanno occupato le facoltà nella grande ubriacatura collettiva dei pro Pal, chissà quanti professori in cattedra che hanno evocato il genocidio applicato a Gaza, hanno visitato gli edifici di Auschwitz. E chissà, tra coloro che l’hanno fatto, quanti hanno ripensato alle diverse bacheche di vetro che rigurgitano migliaia e migliaia di spazzolini da denti, pennelli da barba, protesi, scarpe, bambole: dietro a ogni oggetto c’era e c’è una vita cancellata dal freddo, dalla fame, dalle malattie, dalle sevizie, dalle camere a gas, e finita in fumo nel camino di un crematorio.

Faceva tutto parte di un disegno scientifico e industriale di sterminio: questo è il genocidio, che per gli ebrei è stata la Shoah, la catastrofe del male assoluto. Tutto quello l’avevano fatto i nazisti tedeschi e i loro volenterosi complici di mezza Europa, francesi compresi, e dalla fine del 1943 anche i fascisti italiani. È difficile che una scuola programmi una visita alla Risiera di San Sabba a Trieste, unico campo di sterminio sul territorio italiano anche se all’epoca quella era Zona d’operazioni adriatica (Ozak) controllata totalmente dai tedeschi che nei fatti l’avevano annessa. E nessuna scuola può visitare un gulag sovietico, e spesso in classe non dicono che i comunisti cominciarono assai prima dei nazisti e continuarono per molto tempo dopo. Il ministro Eugenia Roccella ha torto e ha ragione allo stesso tempo, e forse non è neppure un male che con le sue parole abbia scatenato un mare di polemiche. Forse qualcuna potrebbe essere persino utile. A ricordare non solo che le parole sono pietre e non si usano a vanvera sul genocidio per fare pessima partigianeria politica, ma anche che il Padiglione italiano nel Blocco 21 di Auschwitz è chiuso da ben 15 anni. A monito di chi coltiva la memoria a corrente alternata e professa la doppia morale in aula, in classe e nelle piazze.

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