Sarà per il disinteresse dei più, che lo vedono come un fenomeno che non li riguarda direttamente. Sarà perché in Italia il liberalismo non ha mai attecchito fino in fondo. Fatto sta che ribadire la sacralità della proprietà privata, in primo luogo quella della casa in cui si abita, è sempre più difficile nel nostro Paese. I video di uno sfratto di due famiglie nella periferia nord est di Bologna sta facendo il giro del web in queste ore, con polemiche in parte gratuite sui metodi forti che le forze dell’ordine avrebbero usato. Le quali, secondo non pochi attivisti, sarebbero complici di uno Stato che nega il diritto all’abitazione a tutti.
Un diritto, sembra di capire, che dovrebbe annullare l’altro, quello alla legittima proprietà di un bene così essenziale. Tutto questo avviene poi in un Paese ove il 70,8% delle famiglie è proprietario della casa in cui vive, spesso acquistata con il lavoro di una vita e con la rinuncia a beni ritenuti più voluttuari. L’idea che la proprietà di una casa sia un beneficio di cui godono solo i benestanti è perciò assolutamente falsa, così come è falsa l’idea che la proprietà sia per lo più una rendita ricevuta in dono dagli avi e perciò, in qualche modo, immeritata. Se gli italiani hanno ritenuto di investire nel mattone, come suol dirsi, non è un caso. La proprietà di una casa dà contemporaneamente più sicurezza e più libertà, e può essere considerata come un’estensione del proprio io che conquista uno spazio tutto suo con il lavoro e l’abnegazione. Questo spazio è, in qualche modo, anche una difesa dallo stato, dalle pretese dei poteri che vogliono intromettersi nelle nostre vite per sorvegliarle e controllarle.
Nella casa si forma e vive il nucleo familiare, a cui è affidato il compito di tramandare le tradizioni ed educare alla libertà e alla responsabilità individuale. Non è un caso che oggi l’attacco alla casa venga mosso lungo due direttrici: quella che fa capo ai centri sociali e agli orfani del comunismo, che vorrebbero statalizzare e socializzare le risorse private e mettere tutto sotto il controllo della comunità o di una nomenklatura statale; quella che fa capo alle forze del globalismo, che vogliono invece un “uomo flessibile” e “solo”. Non è un caso che il cittadino globale non aspiri ad avere una casa e nemmeno un luogo fisso di residenza, vivendo fra alberghi e lussuose case in affitto, viaggiando da un non luogo all’altro e non mettendo radice in alcuno.
A Bologna sembra che i proprietari delle abitazioni in cui sono avvenuti gli sfratti abbiano intenzione di convertire i loro immobili in più redditizi affitti brevi. E proprio quello degli affitti brevi è oggi il campo di una battaglia ideologica a tutto campo: c’è chi vorrebbe tassarli, regolarli, limitarli, addirittura vietarli, sempre in sfregio ai principi del libero mercato e della libertà di intrapresa. La Costituzione italiana garantisce ampiamente la proprietà privata, riconoscendone la funzione sociale e subordinandola a interessi generali solo in casi motivati. Non si può negare, però, che col tempo si sia affermata una sorta di Costituzione materiale che ha portato a tollerare atti illegali come le occupazioni abusive di immobili o, su un altro terreno, a tassare beni che per loro natura sono facilmente tassabili (nonostante che essi siano stati acquisiti con redditi già a loro volta tassati). Difendere perciò la casa di proprietà è oggi non solo un atto di giustizia, ma una garanzia perla salvaguardia della nostra libertà.

