Meno burocrazia e più nucleare per crescere tutti
Per Squinzi (Federchimica) il manifatturiero merita "un'attenzione speciale.Gli incentivi?Non servono"
di Giulia Cazzaniga- «Fulmini e saette» li ha attraversati anche lui alla firma di un nuovo contratto di settore, ma sono passati ormai più di 10 anni: «Era il 1998», ricorda. Da allora molto si è lavorato. Giorgio Squinzi, presidente di Federchimica al sesto mandato e patron della Mapei, a dicembre dello scorso anno ha firmato un rinnovo del contratto nazionale «prima della scadenza dei termini». L'associazione confindustriale da lui presieduta è riuscita, con Farmindustria, ad abolire gli scatti di anzianità, introducendo anche un premio variabile per le Pmi in relazione a fatturato, assenteismo medio e presenza individuale al lavoro. Nessuna protesta, nessuna tensione. Un caso sicuramente ben diverso dalle vicende che in questo periodo riguardano Fiat, Confindustria e i metalmeccanici. Il segreto? «Nessun mistero», dice Squinzi, «semplicemente abbiamo sempre lavorato per creare un clima di dialogo, e non solo in fase di rinnovo dei contratti. Ci si parla in continuazione, tra capitani d'azienda e sindacati. Altrimenti come avremmo potuto traghettare la barca fin qui?». L'Italia oggi è il terzo produttore chimico in Europa, dopo Germania e Francia. Ma la crisi economica nel 2009 ha avuto l'effetto di un -17,6% nella domanda interna e di un -20% per l'export. Il valore della produzione, farmaceutica esclusa, si è attestato sui 45,5 miliardi di euro. «Se guardo soltanto alla mia impresa, la Mapei», racconta Squinzi, «devo dire che stiamo andando sempre avanti, anche se affrontiamo un periodo difficile. La mia azienda è cresciuta nell'ultimo decennio del 15% all'anno e se nel 2008 e nel 2009 la crescita si è ridotta al 7 e al 5%, a fine di luglio abbiamo registrato un ottimo +10%. L'Italia è però il mercato dove incontriamo più difficoltà, perché avendo a che fare con il mondo delle costruzioni – sia residenziali che delle infrastrutture – il gap con paesi come Asia ed Est europeo, dove la crescita sta riprendendo, è sempre più accentuato». L'analisi, per Squinzi, è estendibile a gran parte del panorama del settore. «Chi come noi è pronto ad affrontare il mercato estero e a farne una quota sempre maggiore sta guadagnando, anche se la previsione sulla seconda parte dell'anno è di un arresto netto. Ci vorranno ancora 2 o 3 anni per uscire dalla crisi, ma la difficoltà maggiore è delle piccole e medie imprese». In Italia, nel primo trimestre 2010, la produzione ha mostrato infatti un significativo recupero (+15%) rispetto al punto di minima toccato nello stesso periodo dello scorso anno, che aveva visto anche l'arresto di alcuni impianti. In uno scenario di rallentamento nella restante parte dell'anno, la produzione chimica nel Paese dovrebbe chiudere il 2010 con un incremento medio del 6-7% che lascerebbe i livelli di oltre il 10% inferiori a quelli pre-crisi. I segnali buoni ci sono, ma le piccole aziende, che ancora si concentrano sul mercato interno, sono in difficoltà. E per capire la gravità della situazione basti pensare che in Italia le imprese chimiche attive sono circa 3mila (1300 associate a Federchimica), ma il 41% del valore della produzione è rappresentato dalle Pmi, mentre i gruppi medio-grandi rivestono un ulteriore 23%. «L'unica opportunità per i piccoli è l'internazionalizzazione», pensa Squinzi, «e oggi più che mai bisogna aumentare le quote sul mercato globale». Ecco che allora sul tavolo del nuovo ministro dello Sviluppo economico le priorità dovrebbero essere tre. In primis agire sulla semplificazione burocratica: «Non si capisce perché in Italia ci vogliano anni per ottenere gli stessi permessi per cui all'estero bastano 60 giorni». Poi, bisogna pensare al nucleare, «perché l'energia da noi continua a costare troppo». E in terzo luogo serve un'attenzione specifica al manifatturiero, «affinché il mercato sia più competitivo». Squinzi non cita gli incentivi, «perché non credo nella loro validità: danno una spinta nel breve periodo, ma non è ciò di cui abbiamo bisogno». Burocrazia, nucleare e competitività sono quindi i tre punti nodali di cui il settore necessita in questo momento di crisi. Una crisi che non ha però intaccato come altrove l'aspetto occupazionale, che ha registrato un calo molto contenuto: -2,2%, per un totale di addetti che sfiora i 120mila. «Il nostro settore è sempre più appetibile per le giovani generazioni», afferma Squinzi, che ha visto le università propedeutiche alle professioni della chimica tornare in auge negli ultimi 3-4 anni dopo anni «di vocazioni scesa ai minimi». «A parte il fatto che il settore è sicuramente molto stimolante dal punto di vista della creatività, della ricerca e dell'innovazione», continua infatti il presidente dell'associazione confindustriale, «la chimica rappresenta comunque un settore ancora pieno di possibilità, e l'Italia è da sempre una spanna sopra agli altri paesi per qualità del personale. Merito del sistema educativo italiano prima della laurea breve, che giudico invece negativamente. La qualità del vecchio ordinamento si distingueva sicuramente a livello mondiale». Sul fronte ricerca, «andrebbero promossi maggiori investimenti a livello pubblico». «Ai giovani dico semplicemente», conclude Squinzi, «che devono credere nel lavoro che fanno, senza pensare troppo all'aspetto contrattuale che sarà poi conseguenza logica del loro impegno sul campo. Forse nostra responsabilità di aziende sarà governare il loro orientamento nella scelta del corso di laurea, in futuro, ma l'importante è crederci».