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Le aziende: "Sindacati, più flessibilità"

Piccole imprese e distretti vogliono nuove regole su misura

Giulio Bucchi
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«Il nostro Paese ha la necessità di un nuovo punto d'incontro tra tutte le parti: l'unica cosa importante in questo momento è che il sistema tenga, non possiamo permetterci esplosioni». È un invito ad uscire dallo stallo, e in fretta, quello che Michel Martone, docente di Diritto del lavoro all'Università degli studi di Teramo e alla Luiss,  rivolge oggi al mondo industriale. «Avverto il bisogno imprescindibile di regole sulla democrazia sindacale», afferma Martone intervistato telefonicamente da Libero Lavoro: «Soltanto con una minoranza costretta ad adeguarsi possiamo uscire dall'impasse che si è creato». «Sono 60 anni», aggiunge, «che si invoca una legge sulla rappresentanza sindacale. Ma in questo momento è impensabile poterla anche solo proporre: auspico che in primis si raggiunga un accordo tra le tre sigle confederali, e poi in caso di bisogno si passi a una proposta di legge, da attuare in tempi rapidi». Bonanni (Cisl) pochi giorni fa rimarcava l'impossibilità di un'intesa sulla rappresentanza se la Cgil non tornerà al documento unitario del 2008, che permetterebbe un accordo immediato con gli imprenditori, e Martone definisce questa linea «comprensibile», descrivendo una Cgil «spaccata irrimediabilmente al suo interno». Come il “caso Fiat” e questo impasse avrà ripercussioni nel mondo dell'impresa, soprattutto in quella di dimensioni medio-piccole, vero motore del Paese è la domanda che Libero Lavoro rivolge oggi a Paolo Galassi, presidente di Confapi, che associa 120mila pmi, con 2,3 milioni di addetti.  Per Galassi il capitolo della rappresentanza unitaria è «chiuso»,  e «si è aperta la stagione della verifica sul campo». Per il presidente di Confapi gli accordi di Mirafiori e Pomigliano non rappresentano un modello adattabile alle esigenze delle piccole e medie imprese.  «Nelle piccole imprese in particolare», aggiunge Galassi, «i problemi legati al rapporto di lavoro sono  delegati all'esterno. Il contratto nazionale di lavoro deve fissare i temi  generali. I problemi specifici vanno affrontati nel contratto di secondo livello, territoriale o aziendale». Un ruolo, quello sindacale nelle piccole e medie imprese, quindi «diverso» rispetto a quello svolto nelle grandi, ma l'invito che Galassi rivolge al sindacato è di certo estendibile: «Il tempo delle scontro “a prescindere”  è finito. Bisogna rimboccarsi le maniche tutti insieme per puntare allo sviluppo delle nostre imprese e per fare in modo che siano il luogo del fare e non la palestra dove si mostrano i muscoli». Che ci sia una distanza abissale tra l'attenzione per il difficile accordo in Fiat e la realtà quotidiana – e spesso meno pubblicizzata – delle imprese, lo dimostra il caso di numerose aziende. Ce lo spiega Cleto Sagripanti che con la sua Manas, azienda marchigiana di calzature, dà lavoro a circa 1.000 persone, tra interni e indotto. «Da imprenditore», afferma Sagripanti, «ho seguito il caso Fiat con attenzione, prendendone spunto per un confronto».  «In azienda vogliamo far sentire i nostri collaboratori più partecipi dei risultati», racconta, «e così contiamo di combattere anche il problema dell'assenteismo, con premi e incentivi». Sagripanti afferma che «sebbene non ci siano mai stati motivi di contrasto con i sindacati, dovessi trovarmi di fronte a una minoranza sicuramente punterei ad un accordo con la maggioranza». «L'unanimità in questo Paese è impossibile», aggiunge, «ma il mondo cambia e mantenere la produzione in Italia, come ha fatto Marchionne e come facciamo noi, è diventata una vera e propria missione, tra lacci e lacciuoli delle leggi e un costo della manodopera imparagonabile a quello di altri Paesi appena oltre confine». È in corso  «un cambiamento nelle relazioni industriali», sì, ma soprattutto «un cambiamento del mercato, davanti al quale l'imprenditore è responsabile per sé e per i suoi dipendenti. Dopo questa crisi è tempo non di ragionamenti politici ma di cambiamenti forti». di Giulia Cazzaniga

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