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Vittorio Feltri sull'islam: "Io ho una paura fottuta"

Andrea Tempestini
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Se qualcuno ha i titoli per proseguire l'opera di Oriana Fallaci, si tratta senz'altro di Vittorio Feltri. Intanto in virtù della personalità. La fiorentina aveva un carattere forgiato nel fuoco - lo sa chi si è scottato con le fiamme che ne scaturivano - ed è difficile raggiungerne le bizzose vette. Ma Feltri ha la stessa capacità di far roteare vorticosamente le balle alla gran parte dei fautori del politicamente corretto, dunque ci siamo. Riguardo all'Oriana, Feltri ha scritto che la sua specialità era «fare il contrario di quello che facevano i suoi simili. Il suo nemico era il conformismo, e lo ha battuto». Vale anche per lui. Poi, ad accomunarli c'è lo stile: la cura maniacale dei dettagli, delle frasi fin nelle minuzie. In ultimo c'è l'amicizia che li ha legati, più forte degli scazzi. Sempre Feltri ha raccontato che con lui la Fallaci «si divertiva a questionare, qualsiasi spunto era motivo di piccoli scontri, cui seguivano immancabili rappacificazioni, talvolta precedute da scambi di lettere piccate. (...) I suoi giudizi erano folgoranti. Le sue critiche ai politici italiani, feroci. Le sue previsioni nazionali e internazionali, pessimistiche. Con me si sfogava». Quel rapporto - passato anche per alcuni scoppiettanti articoli fallaciani pubblicati su Libero - durò fino all'ultimo, fino a che l'Alieno non ebbe ragione dell'Oriana nel 2006. Lei aveva fatto in tempo a fare incazzare tutti per l'ennesima volta, grazie alla Trilogia composta da La Rabbia e l'Orgoglio; La Forza della Ragione; Oriana Fallaci intervista se stessa-L'Apocallisse. È da quei pamphlet sulfurei che prende le mosse il nuovo libro di Vittorio Feltri. Si intitola Non abbiamo abbastanza paura. Noi e l'islam (pp. 120, euro 17), e l'uscita è annunciata dall'editore Mondadori per il 15 maggio. La scheda di presentazione è bellicosa. Spiega che «le primavere arabe sfioriscono e quel che rimane è l'odio contro l'Occidente e la civiltà europea, fomentato sempre più da cani sciolti allevati in seno alla stessa civile e tollerante Europa». E aggiunge: «La tolleranza non può più essere l'unica risposta. All'indomani dell'11 settembre Oriana Fallaci ne La Rabbia e l'Orgoglio profetizzava uno scontro di civiltà. Quello scontro non c'è ancora stato ma è indubbio che i valori dell'Occidente sono sotto scacco; i dodici dell'Hebdo sono il simbolo di un'Europa colpita al cuore. Se non ci schieriamo oggi con loro, se fingiamo che sia opera solo di pazzi scatenati, che l'ideologia non c'entri, che la religione non c'entri, dovremo solo aspettare di sapere chi sarà il prossimo. Perché ci sarà un prossimo». La conclusione è perfettamente in linea con il Fallaci-pensiero: «È ora di prendere una posizione che denunci la mollezza delle politiche europee, che si schieri contro la solitudine in cui è lasciata l'Italia di fronte alle migliaia di migranti che sbarcano sulle sue coste, che difenda la donna e non la veda sottomessa. Che riscopra i motivi e la bellezza di una democrazia imperfetta, così come imperfetti sono i suoi abitanti. Che accettano tutto, o quasi, fuorché la barbarie». La tesi è chiara. Resta da capire il motivo per cui Feltri abbia inteso cimentarsi in un compito non facile. E, da molti punti di vista, pure pericoloso. La ragione ce l'ha spiegata lui stesso ieri: «Perché l'argomento è tornato di stringente attualità. Non mi posso però inventare più di quello che è stato scritto dalla Fallaci. La cosa sorprendente è che oggi tutti negano che si tratti di una guerra di religione. Eppure sono gli stessi jihadisti a dire che si tratta di un conflitto religioso E tutto concorre a dimostrarlo». A parere di Feltri, una delle ragioni per cui è così difficile accettare che ci sia una fede alla base dello scontro sta nel fatto che «per noi la religione è un orpello quasi inutile. Tra chi agisce con il Corano in tasca e chi, come noi, ormai ha perso il sacro fuoco della fede, è chiaro che a soccombere siamo noi». È indubbio che lo Stato islamico e il resto dei jihadisti prosperino sulla paura. Ma per Feltri è proprio il timore a diffettare, dalle nostre parti. «Non abbiamo abbastanza paura perché pensiamo che le cose succedano sempre agli altri, come avviene con il cancro», dice. «Poi c'è il problema dell'immigrazione continua, che non è solo nostro. È un guaio anche per il resto dell'Europa, persino per Paesi come la Svezia. Non abbiamo le capacità organizzative per affrontare questa immigrazione, e non so nemmeno se sia possibile fermarla». L'Oriana ha tracciato il solco e Feltri prosegue l'opera. Questo libro, spiega, «è un prolungamento delle teorie della Fallaci, visto che le ho sempre condivise. Sono sulla scia della sua Trilogia». E chissà se lei avrebbe apprezzato il risultato. «Oriana era un po' originale e aveva un carattere molto particolare. Non so che cosa penserebbe di quello che ho scritto. Credo che, almeno in parte, apprezzerebbe lo sforzo». Non abbiamo abbastanza paura, e va bene. Ma Feltri timore dei macellai di Allah non ne ha? «Io di paura ne ho tanta», confessa. «Ho una paura fottuta. Ma se non si ha paura non sia ha nemmeno coraggio. Ho voluto dimostrare prima di tutto a me stesso che il coraggio per reagire ce l'ho. Non potendo prendere il bazooka e andare a combattere in Siria o in Iraq, rispondo con i mezzi che ho, scrivendo un libro». C'è chi batte sui tasti e chi, come i redattori di Charlie, crea vignette. E viene pure accusato di essersi «andato a cercare» gli attentati. «È la solita idiozia», dice Feltri. «L'ho scritto fin dal primo giorno: adesso diranno che se la sono andata a cercare. Lo diranno anche di me, che me la vado a cercare. Ma se l'alternativa è rinunciare a scrivere, non ci sto». di Francesco Borgonovo

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