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Will Eisner, il genio israelita che scovò il razzismo di Dickens

Davide Locano
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Will Eisner, cartoonist dal tratto teneramente urticante è inventore del graphic novel, del «romanzo disegnato». Ed è considerato -non a torto- la mano grafica di Dio. In Fagin l'ebreo (001 edizioni, pp140, euro 25 prefazione di Brian Bendis) appena uscito in edizione cartonata Eisner si premette il lusso di rileggere l'archetipo dell'ebreo avido, subdolo ed egoista inserito da Charles Dickens nel suo capolavoro Oliver Twist. «…Esaminando le illustrazioni dell'edizione originale di Oliver Twist trovai indiscutibili esempi di diffamazione razziale all'interno della letteratura classica. Combatterli era diventtaa un'ossessione, dovevo realizzare un ritratto rispettoso di Fagin raccontando la storia della sua vita nell'unico modo che mi si addicesse», scrive Eisner. Sicchè produce un capolavoro di critica letteraria in forma disegnata, sul tema stesso delle responsabilità della letteratura. Ne esce un ritratto vivido, inedito di Moses Fagin il «cattivo mentore» che spinge il piccolo Oliver a furtarelli e rapine di strada. Si scopre, nella nuova lettura, che Fagin, in realtà, aveva qualche motivo per essere così stronzo. Si racconta che da bambino ebbe un padre ucciso da lerci bookmaker inglesi che rifiutarono di pagargli una scommessa (sulla vittoria di un boxeur sefardita); che pure la madre di Moses crepò per stenti; che lui, orfano, si mise al servizio del signor Salomon (l'uomo che cercherà di creare una rete virtuosa di famiglie ebree compresa quella del futuro premier britannico Benjamin Disraeli); che venne condannato ingiustamente per dieci anni a causa «ricettazione e tentato omicidio» in una colonia delle Indie occidentali, dove tentò di lavorare onestamente, ma venne di nuovo tritato dalle congiure di uomini malvagi. Fu per questa tempesta d'asperità della vita che Fagin dovette adattarsi alla vita dickensiana -appunto- dei bassifondi londinesi. Dapprima coinvolto in furti di argenterie e abiti usati, divenne in seguito «un riparo per tutti i monelli di strada,devoti ragazzini cenciosi» che comunque strappava all'orrore degli orfanatrofi. Poi l'incontro con Oliver e il finale in galera, a discutere con lo scrittore che lo consegnerà alle storia con le stigmate del criminale di mezza tacca. «Usare la parola “ebreo” per intendere criminale è una verità?...» urla Fagin allo stesso Dickens che fa spallucce, e promette «nei prossimi libri di trattare con maggiore equità la vostra razza...». É una lettura poetica di potenza infinita quella raccontata nei mezzitoni grigi da Eisner. Il quale Eisner torna in libreria anche con la ristampa del suo capolavoro Contratto con Dio (Rizzoli Lizard, pp 206, euro 16). Ossia la serie di racconti che ha introdotto il concetto stesso di «graphic novel», ispirato ai disegnatori degli anni '30 del Novecento Otto Nuckel e Lynd Ward. Trattasi d'un'immortale riflessione sulla natura umana che scomoda nella quotidianità newyorkese il dramma di piccoli uomini che non riescono a sbracare il lunario. La storia che dà il nome al libro è quella di Frimme Hirsche, ebreo assai devoto che rinuncia a Dio dopo la morte della figlia adottiva, divenendo dissoluto e avaro («Se Dio esige che gli uomini onorino i loro patti, non ha forse anche Dio il medesimo obbligo?»). Gli altri racconti sono: Il Super, Il cantante di strada, Cookalein. Tutte storie di sentimenti fragili e grandi impeti di passione, imprecettibili gesti d'amore e corruzioni impensabili. Paul Auster e Philip Roth hanno colto la poetica di Eisner in tutta la loro produzione. Personalmente ho scoperto il tratto lievemente caricaturale di Eisner con i fumetti d'azione (Spirit); ma la lettura dei suddetti due albi mi ha cambiato la prospettiva sul concetto di «sceneggiatura»... di Francesco Specchia

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