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Berlusconi-Di Pietro, sospeso processo per diffamazione

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Il cavaliere, tra l'altro, disse, "ha preso la laurea grazie ai servizi segreti"

Michela Ravalico
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Non si è neppure aperto ed è stato subito sospeso fino al 5 ottobre prossimo il processo per diffamazione contro Silvio Berlusconi, denunciato da Antonio di Pietro. Il caso, che doveva essere discusso davanti al giudice di pace di Viterbo, risale al 2008 quando Berlusconi non era ancora premier. Il magistrato ha deciso di inviare gli atti alla Camera dei Deputati affinchè valuti se le frasi espresse dal Cavaliere durante un comizio elettorale il 26 marzo del 2008 a Viterbo, quando non era ancora capo del governo, siano coperte dal cosiddetto principio dell'insindacabilità. Principio secondo il quale un parlamentare non può essere chiamato a rispondere per le opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni. Di Pietro,  leader dell'Idv, aveva querelato Berlusconi per una serie di affermazioni ritenute offensive. Tra l'altro, Berlusconi, disse "Di Pietro si è laureato grazie ai servizi segreti, perchè non è possibile che uno che parla così l'italiano abbia potuto superato gli esami"; "a Montenero di Bisaccia nessuno sapeva che si stava laureando, nemmeno i suoi genitori"; "Di Pietro mi fa orrore non tanto perchè ha problemi con i congiuntivi ma perchè non rispetta gli altri, ha mandato in galera italiani senza prove"; "Di Pietro rappresenta il peggio del peggio". Il difensore di Berlusconi, l'avvocato Elisabetta Busuito, aveva chiesto l'applicazione diretta del principio dell'insindacabilità. Ma il Pm Laura Centofanti e il legale di Antonio Di Pietro, l'avvocato Maria Raffaela Talotta, si sono opposti. Secondo quest'ultima, le frasi offensive espresse dal premier, essendo riferite alla vita privata di Di Pietro, non avrebbero alcuna attinenza con l'attività parlamentare. Sarà quindi la Camera dei Deputati a decidere se il processo per diffamazione contro Berlusconi dovrà essere celebrato o no. Tuttavia, il giudice, secondo la legge 140 del 2003, qualora dovesse dissentire dalla decisione parlamentare, potrebbe sollevare conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale.

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