Di Pietro alle Seychelles da 007
Libero in possesso del dossier segreto. Di Filippo Facci
di Filippo Facci-Cartine dell'isola, fotografie del vescovo e oppositore politico Monsignor Felix Paul e del corrispondente dell'Ansa Giovanni Mario Ricci, altre immagini di personaggi e dipendenti del ministero locale degli Esteri, un approfondimento sul complesso di società finanziarie G.M.R. group di cui il citato Ricci era presidente, un rapporto sulle Seychelles con foto del dittatore filo-sovietico France Albert Renè (presidente dell'arcipelago sino al 2004, un record) e ancora un fitto carteggio giudiziario riguardante Francesco Pazienza. E poi, soprattutto, un rapporto informativo («protocollo riservato») che l'allora pm Antonio Di Pietro, il 18 gennaio 1985, spedì alle procure di Milano e Roma tramite il suo procuratore capo di Bergamo Giuseppe Cannizzo. Tutto questo, queste 172 pagine di dossier, badare bene, furono redatte da un Di Pietro ufficialmente nelle vesti di «turista» opportunamente in viaggio alle Seychelles, laddove casualmente si rifugiava quel Francesco Pazienza già ricercato dalle polizie di tutto il mondo e in particolare dal Sismi e dalla Cia. Un dossier che 25 anni dopo è finalmente nelle mani di Libero. Queste 172 pagine di dossier furono redatte da un Di Pietro ufficialmente nelle vesti di «turista» opportunamente in viaggio alle Seychelles, laddove casualmente si rifugiava quel Francesco Pazienza già ricercato dalle polizie di tutto il mondo e in particolare dal Sismi e dalla Cia. Antonio Di Pietro, nell'ottobre 1984, era ufficialmente magistrato a Bergamo. Lo era diventato per vie inusuali: prima aveva lavorato per i ministero dell'Aeronautica presso una postazione dell'Ustaa (Ufficio sorveglianza tecnica armamento aeronautico) e in particolare controllava l'Aster di Barlassina, azienda che lavorava per l'Esercito - in stretto e ovvio contatto con il Sismi, i servizi segreti militari - e collaudava pezzi di alta tecnologia adottati dai paesi Nato; giusto in quel periodo riuscì a laurearsi con velocità e modalità non meno inusuali e questo prima di diventare poliziotto lavorando nell'antiterrorismo con Vito Plantone e Carlo Alberto Dalla Chiesa, circostanze che Di Pietro non ha mai ammesso. Non meno rocambolesco, nel 1981, era stato il suo esame da magistrato: sicché tre anni dopo, a Bergamo, eccolo destreggiarsi dopo che i suoi superiori l'avevano deferito al Csm non ritenendolo «in grado di dare tutti quegli affidamenti che vengono richiesti a un magistrato». È proprio in quei giorni, nell'autunno 1994, che Di Pietro decise di prendersi una vacanza decisamente particolare. Va premesso, per comprendere lo scenario, che in quel periodo il paese era ancora scosso dagli strascichi dell'eversione: nessuno aveva propriamente raccolto il testimone del defunto generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ma le più importanti inchieste sul terrorismo erano pervenute nelle mani del sostituto procuratore romano Domenico Sica. Un caso affidatogli fu quello del cosiddetto «Supersismi», sorta di servizio segreto parallelo creato dalla Loggia P2 e reo di gravissime deviazioni e commistioni col peggior mondo criminale. Capi occulti di questo organismo risultarono essere altri esponenti eccellenti del Sismi e tra questi il cosiddetto faccendiere Francesco Pazienza, inseguito da mandati d'arresto d'ogni tipo. Ma il faccendiere intanto se la rideva: inquisito anche per la bancarotta dell'Ambrosiano, dal 1984, si era nascosto alle Seychelles. Un uomo d'affari, Giovanni Mario Ricci, l'aveva presentato al presidente dell'arcipelago Albert René con il quale il faccendiere era entrato in confidenza. Domenico Sica intanto gli aveva spiccato contro sette mandati di cattura internazionali. Regime comunista Il capo del Sismi, l'ammiraglio Fulvio Martini, venne a sapere che Pazienza era nell'arcipelago. Quello delle Seychelles era un regime comunista appoggiato dal Cremlino, e tentare la via diplomatica all'epoca era impensabile. Alla disperata caccia di Pazienza si ritrovarono insomma il Sismi, il Sisde (i Servizi segreti civili) e il superprocuratore Domenico Sica. Una prima missione del Sisde era fallita: due agenti erano atterrati nelle isole a bordo di un aereo dell'Eni ma avevano combinato poco o niente. Ed ecco: proprio allora il giovane Di Pietro parte per le Seychelles. Con lui c'era una donna non identificata, e i due fecero di tutto fuorché i turisti. Non si trattava di una meta facile, allora: il presidente René non brillava per democrazia, e Tonino fece di tutto per mettersi nei guai. Cominciò a fotografare in giro, a prendere informazioni, a incontrare oppositori, soprattutto a chiedere informazioni su Pazienza, ascoltato consigliere di René. Di Pietro e compagna furono subito pedinati e intercettati. Un responsabile dei servizi di sicurezza locali, un nordcoreano, ipotizzò che quel signore potesse essere un agente del Sismi o del Sisde o della Cia e propose di farlo fuori, ma Pazienza sconsigliò. Di Pietro e compagna furono subito pedinati e intercettati. Un responsabile dei servizi di sicurezza locali, un nordcoreano, ipotizzò che quel signore potesse essere un agente del Sismi o del Sisde o della Cia e propose di farlo fuori, ma Pazienza sconsigliò. Pensò in compenso di architettare uno stratagemma che potesse svelargli i referenti italiani di Tonino, e con un complicato giro di telefonate fece avere al magistrato delle notizie false: ossia che lui, il ricercato Francesco Pazienza, sarebbe passato dall'aeroporto di Lugano il 13 dicembre. Contemporaneamente diede la soffiata anche agli svizzeri - tramite i servizi segreti della Germania Orientale - di modo che potessero bloccare e identificare gli agenti italiani sopraggiunti irregolarmente per arrestarlo: se fossero stati poliziotti significava che Tonino agiva per canali istituzionali; se fossero stati agenti del Sismi, invece, no. Andò tutto come previsto: gli arresti ci furono e gli agenti fermati dalla gendarmeria svizzera furono due, un tenente colonnello e un brigadiere dei carabinieri: agenti del Sismi. Il racconto «Le informazioni raccolte da Di Pietro finivano al Sismi», ha raccontato Pazienza, «e non c'erano dubbi... le passava a un altro magistrato il quale poi le riversava a Martini». Il magistrato, appunto, era Domenico Sica. Dell'intreccio si trova traccia anche nelle motivazioni della sentenza di primo grado dell' Ambrosiano (curata dal presidente della Terza sezione penale Fabrizio Poppi) laddove si riferisce di «irrituali indagini» di un allora «sostituto procuratore della Repubblica di Bergamo». Negli atti finì anche il rapporto che ora è finalmente nelle mani di Libero, e che permette di certificare questa incredibile storia. Interpellato a suo tempo dallo scrivente, l'allora capo del Sismi ammiraglio Fulvio Martini ha chiarito che «l'operazione Pazienza fu gestita interamente dai Servizi segreti fino al suo primo arresto, negli Stati Uniti» nel marzo 1985, ma di non aver spedito suoi uomini alle Seychelles; ha ipotizzato che Di Pietro «lavorasse anche per il ministero dell'Interno e avesse mantenuto dei legami col precedente mestiere». A distanza di tanti anni, e tantopiù dopo la lettura di dossier che Di Pietro scrisse con una certa professionalità, non è chiaro come l'allora magistrato si ritrovò a condurre una missione da intrigo internazionale e a spiare un latitante cui il responsabile del Servizio segreto militare teneva in particolar modo, e a cui pure teneva il principe dei magistrati antiterrorismo, Domenico Sica. Piacerebbe conoscere la biografia di Antonio Di Pietro, l'uomo della trasparenza, per intero: lui, sicuramente, non aiuta a scriverla.