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Libia, firmato l'accordo per la liberazione degli eritrei

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Maroni: resta indimostrato che i detenuti abbiano fatto parte degli 850 respingimenti dall'Italia

Eleonora Crisafulli
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E' stato firmato un accordo in Libia per la liberazione di "tutti gli eritrei rinchiusi a Braq". Lo ha annunciato il sottosegretario agli Esteri, Stefania Craxi, precisando che l'intesa raggiunta con il ministero del Lavoro libico, consentirà ai detenuti di uscire in cambio di "lavoro socialmente utile in diverse shabie (comuni) della Libia". E forse l'Italia ospiterà alcuni di questi profughi. "'Italia sarebbe pronta ad accogliere alcuni dei 250 cittadini eritrei attualmente in Libia a determinate condizioni", ha detto il sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi parlando con i cronisti a margine della sua audizione presso la commissione Esteri del Senato. Dal 30 giugno i 250 eritrei si trovano nelle celle del centro di detenzione di Braq, 80 chilometri da Seba, nel Sud della Libia, dove sono stati trasferiti dal centro di detenzione per migranti di Misurata. Il gruppo era stato deportato su tre camion container come 'punizione' a seguito di una rivolta scoppiata il giorno prima fra i detenuti che non hanno voluto dare le proprie generalità a diplomatici del loro Paese per paura di essere soggetti a un rimpatrio forzato. Secondo i numerosi rapporti ricevuti dal commissario ai diritti umani del Consiglio d'Europa Hammarberg, prima del trasferimento degli eritrei da un campo di detenzione all'altro, "il gruppo sarebbe stato sottoposto a maltrattamenti da parte della polizia libica". Nessuna responsabilità - Dopo l'intervento di ieri sulla vicenda dei 250 profughi eritrei detenuti in Libia in condizioni inumane, il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, torna sul caso. E alla dichiarazione di disponibilità da parte del governo italiano per la risoluzione del problema aggiunge oggi una precisazione: "Il governo italiano non ha alcuna responsabilità nella vicenda". A margine di un'audizione davanti alla commissione per questioni regionali. "Se si chiede di fare una missione umanitaria in Libia, il ministro degli Esteri ne vaglierà l'opportunità, ma resta indimostrato che gli eritrei abbiano fatto parte degli 850 respingimenti. Dall'Europa non è venuto nessun interessamento, cosa davvero singolare e incredibile perché dovrebbero essere proprio le istituzioni europee ad intervenire e non a chiedere ad altri di farlo". Il riferimento è a Thomas Hammarberg, commissario ai diritti umani del Consiglio d'Europa, e alla sua richiesta all'Italia di "collaborare al fine di chiarire con urgenza la situazione con il governo libico". Maroni ha poi ribadito: "Rifiuto decisamente le responsabilità che pure sono state affacciate per il nostro Paese, che non derivano certo dall'accordo che abbiamo con la Libia: gli accordi bilaterali ne abbiamo con almeno 30 Paesi e questo non vuol dire che dobbiamo andare ad occuparci di quello che accade in ciascuno di essi. Certo la Libia ci è vicina, non avrei obiezioni personalmente ad un'azione di tipo diplomatico, ma più e meglio di noi dovrebbe fare l'Unione europea".

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