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La lotta per il potere fa sbracare i giudici

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Gli scontri intestini e la guerra per bande in molte procure stanno portando una corporazione sempre più autoriferita verso una perfetta identificazione con gli aspetti più deteriori del sottobosco politico

Tatiana Necchi
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di Filippo Facci - Nella sua corsa sempre più accelerata verso il nemico politico, la Magistratura - parte di essa - sta sbandando e rischia di schiantarsi. Le lotte intestine, la guerra per bande e la deriva di potere di molte procure coordinate o scoordinate tra loro - complice la vacanza delle istituzioni e della politica tradizionale - stanno conducendo una corporazione sempre più autoriferita verso un processo non di opposizione alla politica, ma di perfetta identificazione coi suoi aspetti più deteriori e di sottobosco. Anche l'opinione pubblica applaude sempre più stancamente all'attorcigliamento di una casta (inaffondabile) contro un'altra, un pezzo di potere contro un altro pezzo. Con la differenza che il corpus autoriferito della Magistratura non è un potere elettivo, non patisce alcun controllo democratico se non da se stesso, è un peso senza contrappeso, un Politburo che è cosa loro. Non si tratta di una mera contiguità con la politica, non è solo un'infiltrazione corrotta tipo «toghe sporche» e vari porti delle nebbie: è la legge dei vari comunicanti, è il potere - e il potere è uno solo - che si rimescola a mezzo di questa corsa impazzita della magistratura verso una definitiva tutela dell'ordine sociale (con annesse poltrone da occupare) e sempre più scompostamente verso un nemico da abbattere, uno in particolare, sempre lui e ciò che rappresenta. Non solo raccomandazioni La faccenda ormai è così evidente che è la stessa magistratura ad ammetterlo a denti strettissimi. Per fermarci alla giornata di ieri: abbiamo il vicepresidente del Consiglio superiore della Magistratura, Nicola Mancino, secondo il quale gli ultimi avvenimenti «gettano un cono d'ombra» sulla stessa magistratura nonché sull'organo che lui vice-presiede: è un'ammissione grave e insolita, dato il pulpito. Sempre ieri, abbiamo anche un più esplicito esponente togato dello stesso Consiglio, Livio Pepino, secondo il quale «nel Csm sono presenti forme di malcostume e di pressioni indebite», e questo in dimensioni «significative» a margine di «nomine di dirigenti di uffici giudiziari e di conferimenti di incarichi extra giudiziari», talvolta in «subalternità alla politica». Non solo raccomandazioni, quindi: Pepino ha riferito anche di «collegamenti del Csm con centri di potere» con un coinvolgimento dell'Associazione nazionale magistrati. Abbiamo poi - ma proprio per non gettar via nulla - un Luigi De Magistris che la dice giusta forse per sbaglio: «Le ombre su questo Csm sono tante, troppe, insopportabili... l'inchiesta sulla P3 conferma l'esistenza di una questione morale all'interno della magistratura». E intanto le inchieste corrono all'impazzata - quante sono? - e però Berlusconi è sempre lì, mentre il mandato di questo Csm sta per scadere e i più vari procuratori rilasciano incaute dichiarazioni a casaccio, quasi corressero contro il tempo per prenotarsi nella caccia finale al nemico: come Antonio Ingroia o Sergio Lari, che biascicano di essere prossimi a indicibili verità (su trattative & politica & stragi eccetera)  dopo che per 18 anni una dozzina di pm, più una trentina di giudici di primo grado e d'appello e di Cassazione non hanno ancora scoperto i veri esecutori e mandanti della strage di via D'Amelio: anzi, hanno incarcerato innocenti come ha rivelato il quasi-pentito Gaspare Spatuzza. Questo per inseguire i mandanti occulti, i soliti. La notte della giustizia È questo, che succede. Il ruolo della classe politica va ogni giorno ridimensionandosi mentre nelle più varie inchieste si staglia il ruolo, sorpresa, di singoli magistrati sempre più intraprendenti: e l'Associazione nazionale magistrati ha fatto tonanti comunicati, la Cassazione ha promosso indagini, il Csm addirittura pretendeva di indagare su se stesso: è dovuto intervenire il Capo dello Stato per evidenziare il delirio autoreferenziale di un organo, il Csm appunto, che pretendeva di occuparsi del giudice Alfonso Marra - e di trasferirlo - nonostante, secondo le accuse, sia lo stesso Csm che ne avrebbe favorito illecitamente la nomina alla Corte d'appello di Milano. Reati non reati, nella magistratura s'intravede in filigrana un clamoroso mercato delle vacche: e  il punto non è tanto che uno come il geometra Pasqualino Lombardi, quello della P3, potesse tranquillizzare amabilmente presidenti di Cassazione, parlare con procuratori capo, fissare incontri con quello di Napoli, spingere una candidatura a presidente di Corte d'Appello, avere consuetudine con membri del Csm e sbattersi per far assegnare incarichi giudiziari ancora a esponenti del Csm, sponsorizzando questo o quello; il punto è che questa è la regola, così funziona il Csm e tutta quella parte di magistratura ormai ammalata di potere. In Italia non c'è «il problema delle toghe azzurre», come ha detto comicamente il direttore del Fatto Antonio Padellaro l'altro giorno a Omnibus. E neppure il problema, storico, delle toghe rosse. Nella notte della giustizia, tutte le toghe sono nere.

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