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La Fiat non rivuole gli scioperanti licenziati di Melfi

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L'azienda di Marchionne presenta ricorso contro la sentenza di reintegro emessa dal tribunale del lavoro

Roberto Amaglio
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Come già annunciato dopo il primo verdetto del tribunale del lavoro, la Fiat non ci sta a reintegrare due dei tre operai licenziati a Melfi e presenta il suo ricorso. Secondo l'azienda del Lingotto, infatti, lo scorso 14 luglio i tre scioperanti avrebbero bloccato la catena di montaggio, impedendo a 1.750 operai il diritto di lavorare. Ed è questo il punto su cui si basa la linea della Fiat, esplicitata nel ricorso dagli avvocati Bruno Amendolito, Francesco Amendolito, Maria Di Biase e Grazia Fazio del Foro di Bari e da Diego Dirutigliano e Luca Ropolo del Foro di Torino. Linea – Confermata quindi l'impalcatura difensiva della Fiat contro il tribunale del lavoro. Secondo i legali dell'azienda emergerebbe la "palese responsabilità" dei lavoratori nell'aver operato il blocco della produzione e nell'aver impedito ai lavoratori non scioperanti, circa 1.750 a fronte di 50 che hanno incrociato le braccia, l'esercizio del diritto del lavoro. Udienza – Il giudice Amerigo Palma ha fissato al 6 ottobre la data della prima udienza. Nelle 53 pagine del ricorso depositato presso il tribunale di Melfi, la Fiat rileva una serie di motivi di censura al decreto di reintegra del giudice e in particolare lamenta una "palese ed errata" interpretazione delle risultanze istruttorie che avrebbe operato il giudice stesso nella prima fase del giudizio. Atto di guerra – "Il ricorso contro il reintegro dei tre lavoratori di Melfi è una nuova dichiarazione di guerra dell'azienda nei confronti dei lavoratori. Marchionne, spalleggiato dal governo, silente come non mai, la smetta con il considerare i diritti dei lavoratori un optional. Il comportamento ottocentesco dell'azienda non può trovare cittadinanza giuridica e sociale nel nostro Paese". E' il commento di Alessandro Pignatiello, coordinatore della segreteria nazionale del PdCI-FdS.

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