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Addio a Luciano De Maria, il bandito gentiluomo. Leggi l'intervista del 2007

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Nel '58 a Milano la rapina di Via Osoppo, il colpo del secolo. L'incontro con Alessandro Dell'Orto

Andrea Tempestini
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Luciano De Maria aveva 80 anni e una vita da film, intensa-intensissima, durante la quale aveva visto di tutto, sangue, morti, sofferenza, prigione. I suoi occhi però, pur segnati dalla sofferenza (16 anni di carcere), dall'adrenalina (è stato coinvolto in intrighi internazionali) e dal tempo, erano veri.  Trasparenti. Sinceri. Elegante, giacca e cravatta ("Sempre, anche ad ogni rapina"), Luciano amava darsi un tono con la pipa ("Ma non l'ho mai fumata sul serio"), non si faceva mai mancare auto di lusso e belle donne. Adorava stupire, era sfrontato e andava contro ogni regola. Anzi, andava avanti con una sola grande regola: non uccidere. Mai. Diventò famoso a Milano, il 27 febbraio 1958, quando sette uomini armati, incappucciati e vestiti con tute blu, assaltarono un trasporto valori blindato. Nessuno sparo, nessun ferito e un bottino ndi 590 milioni di lire per quella che è diventò per tutti “la rapina del secolo”. Luciano ora faceva il pensionato e si godeva la vecchiaia a Casale Monferrato dilettandosi con il giardinaggio. A chi, ottusamente, si permetteva di fargli la morale per i suoi trascorsi, rispondeva con grande semplicità:  "Ho pagato il mio debito con lo Stato, mi sento a tutti gli effetti un cittadino libero". Da applausi Luciano, clap clap. De Maria se ne andato i giorni scorsi, l'ha fregato un ictus. Ecco l'intervista ritratto che rilasciò a Libero, per la rubrica Soggetti Smarriti, il 18 novembre 2007. di Alessandro Dell'Orto Statue, quadri, lampadari colorati e una dependance laggiù oltre il giardino. Luciano De Maria, che casa! «Ci vivo da sei mesi, è una cascina ristrutturata. Trecentocinquanta metri». Ci sta solo? «Speravo venisse la Hunziker, ma...». Scusi? «Mi fa impazzire, per un week-end con me le regalerei il prototipo che c'è di là in garage: sono mezzo matto, sa? Le ho scritto una lettera, nessuna risposta». Accennava a un prototipo: che roba è? «Aztec, design Giugiaro e meccanica Audi: ce ne sono 13 al mondo. Una ditta giapponese ne stava costruendo 30, tutti a mano. Poi si è accorta che costavano troppo, è saltata in aria e dal fallimento, con un socio, ne ho acquistati quattro». Che fine hanno fatto? «Uno è bruciato, un altro è stato venduto dal mio socio. Che poi è impazzito e si è suicidato - poteva anche farlo prima, no? - e non ho guadagnato nemmeno un euro. Me ne sono rimasti due». Altre auto di lusso? «Ho avuto Cadillac e Honda. Quando stavo con Carol facevo serate mondane, non mi mancava nulla. Nella vita ho avuto tutto, nel bene e nel male. Più nel bene. Sono un perseguitato dalla fortuna». Chi è Carol? «Siamo stati insieme 12 anni, ne ha 40 meno di me. Non esiste cifra al mondo con cui potrei ripagarla per l'amore che mi ha dato. Tre anni fa le ho chiesto di andarsene, tornare in Ungheria: è giovane e bella, giusto che si rifacesse una vita. Sono caduto in depressione, è stata dura. Ma ora siamo amici e felici». De Maria, domanda antipatica ma inevitabile: casa immensa, auto fantastiche. Ma di cosa vive? «Me l'ha appena chiesto anche la Finanza... In Svizzera avevo un mobilificio, l'ho venduto». Si rende conto che è difficile crederci, vero? Più facile pensare a... «Il bottino della rapina? Molti lo sospettano, ma perché la Polizia non ha mai trovato i miei soldi. In realtà nemmeno io, uscito dal carcere, li ho trovati...». Poi approfondiamo. Intanto ci aggiorni. Ha figli? «Fabio ha 31 anni e stravede per me, si sposerà tra una anno». Quando gli ha raccontato di lei? «Aveva 14 anni, ho incaricato la mia compagna di spiegargli che ero un bandito. Temevo la reazione. Mi ha guardato: “Papà, sono orgoglioso di te”». Vi vedete spesso? «Quando è possibile. Vive in Svizzera, ma là non posso andarci per una vecchia condanna ingiusta: spaccio di droga. Si figuri, è uno dei 4 reati che detesto». Gli altri tre che non sopporta? «Sfruttamento della prostituzione, pedofilia e soprattutto omicidio». Ha mai ucciso? «Scherza? Premetto che non bisognerebbe delinquere, è pacifico. Se ti metti a farlo, però, devi rispettare la vita degli altri. Ho un codice di comportamento rigido, valori precisi, ho rubato molti soldi, ma senza spargere sangue. Ora ti fanno fuori per 100 euro e dopo pochi anni sono già liberi. Io posso guardare negli occhi chiunque, per le mie colpe ho pagato con 16 anni di carcere. Ci sono diventato vecchio, in galera». Già, De Maria. Facciamo un salto indietro. Lei nasce a Zurigo. «Il 12 luglio 1930». Settantasette anni, complimenti! «Tre anni fa mi sono fatto un lifting, 100 punti in faccia. Sono felice, combatto contro l'invecchiamento: ho quasi 80 anni, ma se vedo una minigonna faccio scintille e mi va a posto l'aritmia cronica. Si vede che mi sono conservato bene in galera: stavo al fresco...». Buona questa. Dicevamo dell'infanzia. «Povertà, situazione familiare difficile. Papà muratore è un donnaiolo e picchia mamma, un giorno mi ribello e gli tiro una sedia. Soffro molto per questa situazione e fino a 16 anni farò la pipì a letto». Nel dopoguerra si trasferisce a Milano. «Non ci sono soldi, per sopravvivere ci si arrangia. Inizio a rubare». L'esordio? «Rapina a un commerciante di latticini. Ci becca la moglie, scappiamo. Il mio complice viene preso e parla. A 17 anni finisco al Beccaria per 4 anni e 4 mesi». Impatto con il carcere? «Uno shock. Noia, violenza, minacce». E lei? «Sono un duro, tutti mi obbediscono. Un'estate recupero un rasoio, le celle sono aperte di 20 centimetri per il caldo, io chiamo quelli che stanno dentro: “Cosa hai al braccio?”. Loro me lo mostrano e io zac, li ferisco. Punizione per 13 ragazzi che non erano stati ai miei ordini». Cattivissimo. «Mi chiama il direttore. “Quando vai a casa?”. “Tra due mesi”. “Non vedo l'ora, sei classificato tra i più pericolosi”». Guardi qui questa foto: lei al Beccaria. Baffetti e pipa. A proposito, ha sempre fumato? «Mai. La pipa però dà tono, eleganza». Uscito dal Beccaria, ci ricasca subito. E, maggiorenne, va diritto a San Vittore. «Realtà durissima, celle minuscole per tre persone, amache per dormire». Quando esce va in Svizzera, poi torna e la sua fidanzata è in dolce compagnia... «É bastato un mese per dimenticarmi, sono deluso e arrabbiato. La prendo a schiaffi finchè non mi dà il telefono dell'altro uomo, ogni sberla un numero. Che stupidaggine, oggi non la rifarei». De Maria, nel 1957 nasce la banda. E il primo colpo: una chiesa vicino a Foggia, piena zeppa d'oro. «Il mio contatto con Dio». Scu-si? «Partiamo per Foggia, sei persone in due auto, tende, cric, spranghe di ferro. Andiamo in chiesa in Cadillac, uno fa l'auti sta, io il ricco industriale del nord. Otteniamo l'attenzione del parroco con un'offerta di 10mila lire. In sagrestia c'è la cripta, il parroco prova ad aprirla ma niente, la chiave si inceppa. Provo io, nulla. Va a prendere la chiave di scorta, nulla. Ci guardiamo, brivido, è la prima volta che proviamo a rubare in chiesa e forse è meglio lasciar perdere. Tiriamo su le tende e via, scappiamo. Da quel momento credo che ci sia qualcosa di supremo, se fai bene ricevi del bene, se fai male ricevi del male». La banda si allarga. Un colpo da ricordare? «Cinema “Cielo” di via Piave. Svegliamo il guardiano puntandogli una pistola, quegli occhi che si aprono sempre più dalla paura  non li scorderò mai. Tutta notte per far saltare la cassaforte, all'alba boom e ce ne andiamo con l'in casso. Rapina che non verrà mai scoperta, tuttora per la polizia è irrisolta». Ed era stato lei. «Ormai lo posso confessare: è in prescrizione». Ops, altri reati da confessare? «Ho pagato sette rapine, ne ho commesse più del doppio: i giornali mi soprannominavano lo stakanovista. Una volta invece  gambizziamo un certo Scalogna, pentito che ha venduto i compagni alla Questura, dunque merita una lezione: gli spariamo sette pallottole alle gambe. Mai scoperti». Già, i pentiti. Che ne pensa? «Io li chiamo infami: si sta di qui o di là». Furti, assalti e molti successi. Qualche flop? «Prepariamo la rapina al proprietario di un supermercato, va tutto liscio e al momento decisivo il nostro uomo si presenta con un sacchetto di plastica della spe sa nella mano destra e una cartella di cuoio nella sinistra. Prendiamo la cartella di cuoio, poi ci  troviamo per spartire il bottino... Sorpresa: vuota. Ci aveva fregati, i soldi erano nel sacchetto». Giovani, affascinanti, ricchi. De Maria, se la passava bene? «Bella vita, belle donne, belle auto. Uno sballo. Più ragazze al giorno, vacanze in montagna. Ma a Capodanno...». Che succede? «Mi sento vuoto, piango. Mi rendo conto che non ho obiettivi, progetti. È un segnale di Dio che non capto. E, anziché mettere la testa a posto, decido che per riempire la mia vita c'è bisogno di un colpo sensazionale, un salto di qualità». La rapina di via Osoppo. «Siamo due bande associate, capiamo che quel portavalori è quello giusto perché c'è una buona via di fuga. Scegliamo il 27 gennaio 1958, giorno di paga. Siamo in sette: io, Gesmundo, Ciappina, Cesaroni, Castiglioni, Russo e Bolognini. Ecco il piano: io guido un camioncino e faccio un frontale con il portavalori; un altro dalla strada infrange il vetro del furgone e disarma il poliziotto; un terzo, con un'auto rubata, blocca la via da cui arriva il portavalori; un quarto organizza la fuga; gli altri prendono il bottino». Programma perfetto. «Ma la prima volta salta, c'è una pattuglia e uno di noi va a controllare: durante la sua assenza arriva il portavalori. Tutto da rifare». Buona la seconda? «Macché. Il 15 febbraio siamo pronti, faccio per tamponare il portavalori quando mi accorgo che in realtà sto per scontrarmi con il furgone del latte! Quell'imbecille che doveva segnalarmi l'arrivo del portavalori aveva sbagliato». Urca. Meglio rimandare. «Il 27 febbraio alle 9.15 va tutto ok». Curiosità: la notte della vigilia riesce a dormire? «Grande eccitazione, ma niente più. Per me è un lavoro normale». Abbigliamento? «Giacca e cravatta, come sempre. Tutte le rapine le ho fatte vestito così. Questa volta però indossiamo anche tute blu e  passamontagna». Armi? «Io, oltre alla bomba a mano, mi porto una pistola mia, ho un piano che gli altri non sanno». Spari, nel senso buono... Dica. «Se qualcosa va male e ci scappa il morto, mi suicido. Per una questione di principio ma anche perché l'ergastolo a quei tempi era vero, stavi dentro fino alla morte e ti seppellivano in carcere». Per fortuna nessun imprevisto. «Sì, ma che ridere quando una vecchia esce dalla macelleria e ci vede armi in pugno: “Andì a laurà”, andate a lavorare! La guardo: “Signora, cosa pensa che stiamo facendo se non il nostro lavoro?”». Ahahaha. Vero che uno di voi, per aver un alibi, era dal dentista? «Ciappina prima del colpo accompagna la moglie da un dentista dietro via Osoppo. In sala d'attesa dice: “Cara, esco per comprare il giornale”. Tornerà un'ora dopo a rapina avvenuta». Spettacolare. Bottino? «590 milioni, ma dividiamo solo i contanti: 114 milioni». Circa 15 a testa. «A me anche un milione e mezzo in più, perché ho rubato 14 auto per i colpi». Addirittura? «Ai tempi era facile, bastava aprire la portiera con una lima e collegare due fili, mica come adesso. Ora non sarei in grado». Sedici milioni di allora quanto valevano? «Per acquistare un appartamento di sei locali in Corso Venezia ci volevano 6 milioni. Tipo 3 milioni di euro di oggi». Torniamo agli attimi dopo la rapina. «Appuntamento alle 16 per contare i soldi. Nel frattempo io e Gesmundo torniamo in via Osoppo. Elettrizzante». Divisione equa? Perché quella faccia? «Qualche dubbio su Cesaroni: nello spartire il bottino per una rapina a Torino l'avevo beccato con una mazzetta di soldi sotto il letto...». A proposito, dove nasconde la sua parte? «Nei tubi di un bagno fatto da me in giardino, un pozzetto introvabile». E i suoi complici? «Qualcuno fa sparire i soldi nelle piastrelle del lavandino di casa, altri sotto lo zerbino di un palazzo di via Washington: ma vengono scoperti». Lei, invece, no. «Già, ma durante la galera i miei parenti spendono tutto. Lasciamo perdere...». Parliamo ancora della rapina. La sera andate a gettare valigie, tute blu e passamontagna nell'alveo dell'Olona e il giorno dopo tutti parlano di voi. Prime pagine dei giornali, articoli di Montanelli e Cervi, 5000 poliziotti mobilitati e una taglia di 30 milioni. «Una goduria. Io e Arnaldo andiamo a Cortina a sciare, ce la spassiamo. Giorni memorabili». De Maria, a febbraio saranno 50 anni. «Sembra ieri. Mi chiedono sempre se rifarei tutto: credo di sì». Eravate in sette. Sente ancora qualcuno? «Cesaroni, Castiglioni e Russo sono morti. Ciappino è vivo ma sparito, di Bolognini non so nulla. Mi vedo con Gesmundo, facciamo discorsi da pensionati: il giorno dell'anniversario potrei passarlo con lui». Restiamo al '58. Un mese dopo il colpo... «Ci beccano. Il lunedì seguente la rapina, il Comune di Milano devia le acque del fiume Olona per lavori d'interramento e uno straccivendolo trova i nostri sacchi. Su una tuta c'è un'etichetta con l'indirizzo del venditore, risalgono a chi ce le ha fornite e lo fanno confessare». Che sfiga!E vi prendono. «Cinque giorni e cinque notti in questura con le mani legate. Mi massacrano di botte, non sento nemmeno più dolore, sono gonfio, non riesco a deglutire, perdo sangue. Con la forza della disperazione mi butto contro una finestra, mi portano d'urgenza in  ospedale». Poi il processo. Per lei chiedono 30 anni, poi ridotti a 20 e 8 mesi e infine a 18. «Entro in carcere a 28 anni, uscirò a 44: due non li faccio per un condono. Provo a suicidarmi tagliandomi le vene, mi salvano ma vado in depressione. Cerco di ottenere la semi infermità, niente». Compagni di cella? «Sono al quinto raggio, con i truffatori più abili. C'è un avvocato geniale, è riuscito a vendere un pezzo della flotta Lauro e una statua di Milano. Strepitoso». Meglio di Totò... Altri detenuti? «A Padova conoscerò Drago, jugoslavo che negli Anni Sessanta ha attraversato tutta l'Italia con una croce sulle spalle». Come Gesù Cristo. «Già, ma di notte apriva la croce, estraeva il mitra e faceva rapine». Sedici anni di carcere tra Milano, Firenze, Lecce, Alghero e Padova. Sedici anni senza sesso. Mai tentato da...? «L'omosessualità? Mai!Però ho visto di tutto: detenuti fare sesso davanti alle guardie, ragazzi violentati». Per errore, intanto, le aggiungono due anni alla pena. E a Padova si inventa una protesta particolare. «Salgo sul tetto del carcere e mi lego. Alla fine otterrò la grazia per gli anni in più». A 44 anni è un uomo libero. «Un trauma. Libertà vigilata, lavoro in albergo, poi mi sposo e torno in Svizzera». Vita lontano dalle tentazioni? «Purtroppo conosco Paul, uno che dirige una banca. E mi viene un'idea». Oplà. «Lo convinco a passarmi i nomi di alcuni ricconi italiani con i soldi depositati in Svizzera. Scelgo una contessa, recupero numero di conto e movimenti bancari e mi presento da lei con due amici». Racconti. «Fingo di essere il capitano della Finanza, mostro un tesserino falso. Lei ha 50 anni, bella donna, ci offre un the mentre spiego: “Sul suo conto ci sono 180 milioni di dollari, lei ha fatto questi movimenti. Signora, è evasione fiscale, le confisco tutti i beni e la porto dentro”. Mi alzo, chiedo di andare in bagno. Piange, è terrorizzata. I complici la tranquillizzano: “Il capitano fa il duro, ma ha il cuore tenero. Faccia un'offerta per i poverelli della Finanza, chiuderà un occhio”». Funziona? «Torno e offre 10 milioni di dollari, è fatta. La carichiamo in auto e andiamo in Svizzera, entra in banca e ci porta due valigette piene. Poi ringrazia e mi bacia». Ha mai scoperto la truffa? «Mai. Anche questa è in prescrizione...». Tanto p er non farsi mancare nulla, lei in Svizzera conoscerà Jürg Heer, direttore da 18 anni del settore crediti della Banca Rotschild di Zurigo indagato per aver frodato la banca tramite concessione fraudolenta di crediti. E, soprattutto, colui che confesserà: “Ho consegnato 5 milioni di dollari agli assassini di Calvi”. «Personaggio incredibile, parlava cinque lingue, intelligente, furbo. Braccato, scappa dalla Svizzera e mi dà una delega: sono l'unico autorizzato a ritirare i suoi beni per trasferirli in un posto segreto». Perché quella smorfia? «Nelle sue due ville di Zurigo e Klosters trovo di tutto. Statue in bronzo, un tavolo da 500mila dollari, quadri di Handy Warhol, sculture di Tinguereley, auto e una cantina con vini per mezzo milione di franchi». Riesce a nasconderli? «Mi fregherà un turco, un bastardo che si mette in affari con me e mi porta in Azerbajan. E poi fa sparire tutto». Jürg Heer fuggirà in Turchia e in Thailandia. E morirà nel 2001 in Svizzera. «Aids, era diventato omosessuale». De Maria, ultime domande veloci. 1) Se la chiamano “bandito” si offende? «Ormai, per la società, sarò un bandito fino all'ultimo giorno». 2) Il bandito più affascinante di sempre? «Al Capone e Lucky Luciano». 3) Una cazzata che non rifarebbe? «Mi ricoverano a Milano, fortissimo mal di testa. Non ce la faccio più, impazzisco di dolore e urlo alla suora “Va da via i ciap!”,  fanculo. Il mio vicino applaude. Mi vergogno per la mia frase e per la reazione di quell'imbecille». 4) Una follia che rifarebbe? «La rifaccio ogni anno: durante il Festival, giro per Cannes con il prototipo e mi travesto da Batman». 5) Paura della morte? «Noooo. Se un giorno non fossi più autosufficiente, però, mi ucciderei». Ultimissima. Si tolga 50 anni. Che colpo inventerebbe nel 2008? «Semplice, una rapina sempre affascinante: l'assalto alla Zecca. Ma tranquilli, ormai sono in pensione».

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