Giallo su Sakineh: "Rischia ancora l'impiccagione"
Iran annuncia: "I figli la perdonano, stop alla pena". Poi la smentita: "Processo alle battute iniziali"
Si riapre il giallo sulla sorte di Sakineh Mohammadi Ashtiani. In mattinata era giunta la conferma ufficiale: "Non sarà condannata a morte per impiccagione, la pena per adulterio e complicità nell'omicidio del marito è stata sospesa". Poi, però, il procuratore generale Gholam Hossein Mohseni ha smentito la decisione annunciando che la condanna resta al momento in piedi: "Il caso è ancora alle sue battute iniziali", ha detto Mohseni. ILLUSIONE NELLA MATTINATA - Il presidente della Commissione parlamentare iraniana per i diritti umani Zohre Elahian, in una lettera inviata al presidente brasiliano Dilma Rousseff, aveva scritto: "Sebbene la sentenza di lapidazione non sia stata ancora finalizzata, la sentenza di impiccagione è stata sospesa per il perdono" dei figli, si legge nella lettera. Sakineh, arrestata nel 2006, dovrà però scontare 10 anni di prigione, aggiunge Elhian nella missiva. L'ex presidente brasiliano Lula lo scorso luglio aveva offerto asilo politico alla Ashtiani, ricevendo un rifiuto da Teheran. Il Brasile intrattiene legami stretti con l'Iran ed ha tentato in più sedi di mediare per risolvere la controversa sul nucleare. QUATTRO ANNI DI POLEMICHE - E' l'ennesima tappa di una lunga vicenda che ha visto negli ultimi mesi una vasta mobilitazione internazionale. Il processo a Sakineh prende il via nel 2006, quando la donna viene accusata di adulterio, messa in prigione a Tabriz e condannata a 99 frustate. Ma subito dopo viene accusata di avere una relazione con l'assassino del marito e nuovamente processata per adulterio e per complicità nell'omicidio. Una sentenza della Corte Suprema nel 2007 condanna Sakineh alla lapidazione, ma la sua esecuzione viene rinviata in seguito alla presentazione di un ricorso. La vicenda balza all'attenzione dell'opinione pubblica mondiale all'inizio della scorsa primavera, quando una grande mobilitazione internazionale spinge le autorità di Teheran a parlare di sospensione della sentenza. Ma a luglio il ministro degli Esteri, Manouchehr Mottaki, interviene per precisare che la sentenza non è stata sospesa ma, semplicemente, la procedura giudiziaria non è ancora conclusa. MOBILITAZIONE INTERNAZIONALE - L'11 agosto Sakineh è intervistata in diretta, dal braccio della morte della prigione di Tabriz, sulla tv di stato e ammette di essere colpevole sia di adulterio sia di complicità nell'omicidio del marito. Una confessione che, a detta degli attivisti e dei familiari della donna, è stata estorta con la forza, ma che produce un effetto boomerang, accendendo di nuovo i riflettori sul caso. Dagli Stati Uniti, per esempio, parte un appello di premi Nobel e star di Hollywood, dalla Francia quello della premiére dame Carla Bruni (e definita "prostituta" dalla stampa iraniana ultraconservatrice), e dall'Italia. All'inizio di settembre, in un'intervista ad Aki, il figlio di Sakineh, Sajjad Ghaderzadeh, annuncia che la madre è stata sottoposta a ulteriori 99 frustate sulla base della falsa accusa di corruzione e indecenza per aver fornito al Times di Londra una sua foto senza velo. Una foto che in realtà ritrae un'altra donna ed era stata erroneamente attribuita a Sakineh. In Italia e Francia le piazze si riempiono di manifestanti pro-Sakineh e di gigantografie della donna, esposte anche sui municipi di Roma. Il Parlamento europeo vota una risoluzione di condanna nei confronti di Teheran e chiede di salvare la vita della donna. Il governo iraniano è alle strette e il ministero degli Esteri, tramite il suo portavoce Ramin Mehmanparast, accusa Italia e Francia di essersi attivate sulla base di informazioni false. Ma poi, l'8 settembre, è lo stesso Mehmanparast ad annunciare che la lapidazione di Sakineh è stata sospesa. Ma l'attenzione sul caso non cala, con l'avvocato della donna, Javid Houtan Kian, che afferma che non esiste un provvedimento formale di sospensione, che il suo ricorso alla Corte Suprema è bloccato e che molti atti relativi al caso sono scomparsi. NOTIZIE E SMENTITE - Il 19 settembre è il presidente Mahmoud Ahmadinejad a gettare acqua sul fuoco, assicurando in un'intervista alla Abc che la notizia della condanna alla lapidazione è falsa e che Sakineh ha "comunque diritto a quattro gradi di giudizio". Segue un fitto susseguirsi di conferme e smentite, come lo scorso 28 settembre, quando il procuratore iraniano Gholam-Hossein Mohseni-Ejei ha affermato che la donna non sarà giustiziata per lapidazione ma per impiccaggione in quanto colpevole di omicidio. Solo poche ore dopo le frasi del procuratore sono state smentite dal ministero degli Esteri di Teheran, secondo il quale non c'è ancora una sentenza definitiva sul caso. Lo scorso 11 ottobre ecco l'arresto del figlio della donna, del suo ex avvocato e di due giornalisti tedeschi che li stavano intervistando nello studio del legale. Il figlio della donna era stato rilasciato due giorni dopo su cauzione. I due giornalisti della 'Bild am Sonntag' sono ancora in carcere, nonostante i ripetuti appelli della Germania. Il ministero degli Esteri ha fatto sapere che se la rivista presentasse le sue scuse questo produrrebbe degli effetti.