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AltaRoma, Unlimited strega la Capitale

Limited/Unlimited mette giovani talenti e grandi maestri della moda a confronto e la couture ne esce vincente

Giulio Bucchi
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Pochi passi al buio accompagnati da una hostess dotata di torcia e si entra d'incanto in una favola piena di libri che sembra dipinta dalla macchina da scrivere di Carlos Ruiz Zafòn, è una versione romana del 'Cimitero dei libri dimenticati', la Biblioteca Casanatense che raccoglie manoscritti preziosi e antichi e che eccezionalmente diventa teatro di un'alta moda evoluta e colta, in barba a quanti danno per spacciata l'haute couture. AltaRoma ospita nel suo calendario il secondo episodio di Limited/Unlimited, che se già era stato un successo nella scorsa edizione questa volta sorprende e disarma bastando da sola a dare un senso alla kermesse. Chi l'ha detto che l'alta moda è morta?  Già dal primo sguardo all'atmosfera teatrale e carica di sacralità di "Small objects of desire",  la mostra di Limited/Unlimited, si capisce che invece è viva e vegeta e anzi pulsante di creatività grazie all'estro di 40 giovani creativi messi a confronto con i grandi nomi della couture.  Perché se non si vogliono perdere le tradizioni tramandate con cura da chi l'artigianato lo vive con  una dedizione tale da renderlo un'arte, allora bisogna dare spazio a chi ha le carte giuste per conservarlo, e qui in mostra ci sono nomi di giovani emergenti con tutte le potenzialità per farlo, specie se si chiamano Albino, Villador, Carta e Costura, Delfina Delettrez, Diego Dolcini, Justin Smith, Silvio Betterelli, Max Kibardin o Nicholas Kirkwood , lo shoe designer amato da Sarah Jessica Parker. PRESENTE E PASSATO - Mettere a confronto la moderna filosofia della moda con i mostri sacri del fashion world, da Valentino a Capucci, rappresentati dagli abiti messi a disposizione da signore – una tra tutte Donna Marella Agnelli- che per l'occasione hanno aperto il loro guardaroba prestando veri e propri gioielli in tessuto può sembrare pericoloso, e invece non stride affatto, anzi, complice l'allestimento, sembra quasi che i grandi veglino sul successo di questi neo-eletti couturier, tracciando in qualche modo un percorso di continuità tra ieri e domani.  L'alta moda è nell'aria, lo si sente sulla pelle a guardare con quanta cura il maestro Capucci  sistema il suo abito rosa, quasi fosse una creatura viva, ma anche ammirando le scarpe meravigliose di Rousseau. L'attenzione al dettaglio qui c'è, lo si scopre nel piccolo secchiello di Micaela Calabresi Marconi, che fa il verso a quelli degli anni '60 ma nasconde un segreto prezioso nelle rifiniture in oro, o ancora nella preziosissima borsa che mette insieme la creatività di Vivia Ferragamo e Alessandra Luna e che coinvolge Roberto Coin: volendo si scompone, e offre una clutch, una spilla, orecchini e un collier, costa 70.000 euro  e si parla di waiting list.  ORGOGLIO ROMANO - Ma c'è un'altra cosa fino ad oggi sottovalutata, l'orgoglio romano. Perché se ieri AltaRoma poteva essere vittima di commenti snob da chi frequenta Milano o Parigi oggi con l'ultima delle sue preziose produzioni si prende una rivincita. Lo conferma Giovanni Serra, che mostra il suo abito che traduce la sartorialità, suo asso nella manica, nella produzione industriale, e che ci tiene a precisarlo che lui che ha studiato a Milano nel cuore però "fa parte della scuola romana", e lo dice anche Alessandra Giannetti di Edo City emozionata di essere parte del progetto con la sua microcapsule che combina 3 pezzi "di solito bisogna andare fuori per vedere una cosa del genere, e invece succede qui a Roma, dove io lavoro". Se questa fosse una prova generale del famoso museo della moda tanto voluto da tutti, ma che sembra non decollare forse per mancanza di iniziativa da parte delle istituzioni, non avrebbe di certo nulla da invidiare alle più patinate esposizioni di  Londra, New York o Tokyo, la conferma viene da chi fa parte del settore da anni. "Il posto è meraviglioso, enfatizza il lavoro a pieno, siamo incantati", commentano Maria Grazia Chiuri e Pier Paolo Piccioli, direttori creativi di Valentino, “qui si sottolinea davvero il senso dell'artigianalità”.  di Donatella Perrone

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