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Governo, autogol con l'atomo. Così esultano Pd e Idv

Gianluigi Paragone: "La retromarcia su nucleare è la prova di come sia debole la politica, di come sia incapace di assumere responsabilità di una decisione"

Andrea Tempestini
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"Abbiamo rivisto l'impostazione sul nucleare data nel 2009 e rinviamo una decisione così importante ad un chiarimento complessivo in sede Europea". Il giorno dopo la retromarcia dell'esecutivo sul nucleare, in Senato, il ministro dello Sviluppo Economico, Paolo Romani, ha spiegato i motivi della decisione. "I cittadini - ha proseguito - sarebbero stati chiamati a scegliare fra pache settimane tra un programma di fatto superato o una rinuncia definitiva sull'onda d'emozione assolutamente legittima, ma senza motivi chiari". Il testo intero del duro editoriale di Gianluigi Paragone è su 'Libero' in edicola oggi, mercoledì 20 aprle. Segue la cronaca della giornata di martedì 19 aprile di Andrea Scaglia. Non si fa più.  Il governo ha innestato la retromarcia sul pluriannunciato programma nucleare e le centrali da costruire e l'autosufficienza energetica e tutto quel che andavano dicendo da anni, e al di là di come la si pensi nel merito non è proprio una bella figura. Primo, perché - come detto - cancella anni di discussioni e approfondimenti e paventate strategie proprio in riferimento al fondamentale capitolo dell'approvvigionamento energetico - suona paradossale la dichiarazione del ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo, secondo cui comunque «la ricerca sul nucleare procede in modo indipendente dalle scelte del Paese».  E poi perché l'impressione è che tal decisione sia condizionata anche dal fatto che il referendum sulla questione - da cancellare - viaggi di pari passo con quell'altro che chiede l'abrogazione del legittimo impedimento, norma che permette alle alte cariche istituzionali di giustificare la loro assenza in processi che le riguardano, spesso utilizzata dal premier. La maggioranza e lo stesso governo rigettano l'insinuazione, ma dall'opposizione c'è già chi grida - Di Pietro in primis, come di consueto - alla «truffa». D'altro canto, Bersani invece esulta - «vittoria nostra, di chi ben prima del Giappone ha messo in luce l'assurdità del piano nucleare» - insieme con l'intero fronte anti-governativo. E insomma, da qualunque parte la si veda per l'esecutivo è una débâcle. L'atomico colpo di spugna è stato inserito nella moratoria - cioè la sospensione di un anno di tutti i progetti nucleari - annunciata dopo il disastro di Fukushima, e già prevista nel cosiddetto decreto legge omnibus, attualmente all'esame del Senato. A cui è stato allegato un emendamento: «Al fine di acquisire ulteriori evidenze scientifiche [...] sui profili relativi alla sicurezza nucleare, [...]non si procede alla definizione e attuazione del programma di localizzazione, realizzazione ed esercizio di impianti di produzione di energia elettrica nucleare». Come dire: niente, abbiamo scherzato. Le Regioni hanno salutato la decisione con entusiasmo - anche quelle guidate dal centrodestra, tipo la Sardegna di Cappellacci. Lo stesso governo ha poi precisato che «con l'emendamento viene affidato al consiglio dei Ministri la definizione di una nuova strategia energetica nazionale, che terrà conto delle indicazioni stabilite dall'Unione Europea e dagli organismi internazionali». Insomma, chi vivrà vedrà. Pensare che l'annuncio di una ripresa del programma nucleare era stato uno dei primi di  questo governo. L'allora ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola - sembra passato un secolo  - aveva varato il decreto legge, nel giugno del 2008, che per l'appunto prospettava la realizzazione  degli impianti. Nel corso del tempo, l'intenzione non pareva venir meno. Poi è arrivato lo tsunami e i problemi agli impianti giapponesi, e anche  nell'opinione pubblica riprendeva vigore il fronte no-nukes. Fino all'approvazione del referendum del 12-13 giugno. Che, a questo punto, avrebbe potuto far registrare un clamoroso successo del fronte del no, visto che gli ultimi sondaggi ritenevano probabile il raggiungimento del quorum. A ciò vanno aggiunte le perplessità del ministro Tremonti, non così disponibile a investire troppo nel costoso capitolo. Ancora ieri, nell'intervento al Parlamento Europeo, ha rimarcato come «questa fase vada utilizzata per sostenere investimenti pubblici destinati a operazioni di interesse collettivo. Il finanziamento delle energie alternative risponde a questa esigenza». Niente atomo, piuttosto sole e vento. E se n'è detta contenta pure  il ministro della Gioventù Giorgia Meloni, «un piano che veda l'Italia primeggiare sulle energie rinnovabili». Cioè, insomma: ma chi lo voleva, 'sto nucleare? di Andrea Scaglia

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