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Ma non basta un solo neutrino per pensionare Einstein

La scoperta del Cern fa scattare la 'corsa' a superare la relatività. Ma tutto questo non basta a cancellare la grandezza della teoria

Andrea Tempestini
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Complice il fascino innegabile che si sprigiona quando si maneggiano il tempo, la materia e lo spazio, a leggere i giornali di ieri pareva che Albert Einstein fosse praticamente da dimenticare. Dopo l'annuncio ufficiale dato dai tecnici del Cern di Ginevra (ma la scoperta sui neutrini ha un forte colore italiano, vista la collaborazione col centro di ricerca del Gran Sasso), ci sono vari motivi per ristabilire la “reputazione” del Nobel senza sminuire di un micron la potenziale grandezza dell'evento scientifico, peraltro comunicato con ammirevole continenza e serietà dai suoi “creatori” (Antonio Ereditato, Dario Autiero e il loro gruppo). In pratica, un fascio di neutrini (particelle atomiche di dimensioni indescrivibilmente piccole) sparati sotto terra dalla Svizzera all'Abruzzo, venti parti su un milione (lo 0,002%) hanno superato, secondo accurati e increduli calcoli, la famosa “c” della più nota formula di Einstein (E=mc2), cioè la velocità della luce. Lo “scarto” rispetto al limite fissato dal fisico tedesco è di pochi nanosecondi (in proporzione, la barriera è stata sfondata dello 0,0005%), ma sufficiente a far sobbalzare anche chi di fisica ha soltanto riminiscenze liceali: figuriamoci la comunità scientifica. Significherebbe che la velocità della luce non è insormontabile e che, almeno a quei livelli subatomici, la formula che assegna massa infinite a corpi che viaggiano alla velocità della luce dovrebbe essere rivista. Da parte loro, gli scienziati del Cern sono stati pressoché impeccabili. Prima si sono visti violare l'embargo dal professor Zichichi, poi hanno fatto una conferenza stampa in cui hanno spiegato cosa fosse successo, sottoponendo con grande umiltà gli incredibili risultati a tutta la comunità scientifica, da  un lato difendendo la bontà delle proprie rilevazioni, dall'altra chiedendo un controllo incrociato mondiale, proprio perché le eventuali conseguenze sarebbero detonanti. La prima ragione per cui Albert Einstein - a una superficiale lettura priva di vera padronanza scientifica - non rischia a breve di «finire al macero coi libri di testo che ne spiegano le teorie, come si leggeva o sentiva ieri sui Tg e sui giornali è proprio questo: la possibilità che le misure dello sfondamento del muro della luce sia frutto di errori di misurazione c'è, e da oggi parte una esaltante gara alla «falsificazione» dell'esperimento che è, in fondo, uno dei fondamenti dell'avventura scientifica. La seconda ragione sopravvivrebbe anche a una inequivocabile conferma che i  neutrini viaggiano a più di 300 mila km al secondo, e non per romanticismo conservatore. L'ha detta meglio di chiunque altri Roberto Petronzio dell'Istituto nazionale di fisica nucleare in un video reperibile su repubblica.it: «Einstein sarebbe entusiasta» di fronte alla nuova scoperta. Non solo per il lavoro intrigante che questa incognita aprirebbe. Per quanto imponenti come la relatività (che stabilisce nessi «filosofici» tra tempo, spazio e materia), le teorie sono modelli che spiegano la realtà, non la realtà. La scienza è fatta di impianti teorici con dei «buchi» che in fondo sono altrettante domande di essere colmati, e di modelli che restano validi entro certi ambiti (basti pensare alla meccanica di Galileo e Newton) anche una volta che vengono superati.Sarà la relatività a essere assoluta? Proprio questa contendibilità e confutabilità delle teorie è un antidoto all'ideologizzazione dell'approccio scientifico. Per pensionare Einstein, per quanto ci si metta una normale semplificazione giornalistica, è presto. «Chi non ammette l'insondabile mistero non può essere neanche uno scienziato», diceva. Ci vuole più di un neutrino scatenato per fargli paura. di Martino Cervo

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