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Le banche non danno soldi né a famiglie né a imprese

Per i fortunati che ottengono prestiti scattano superinteressi: la media per le aziende passata dal 3,74% al 4,04%

Lucia Esposito
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Rubinetti chiusi, serrati. Le banche non danno più soldi. Né alle famiglie né, soprattutto, alle imprese. Dopo giorni di sospetti più o meno accentuati c'è  la prova. Quella di Abi. Secondo la Confindustria del credito, che non ha certo fornito dati freschissimi, il ritmo di crescita dei prestiti è calato, a novembre scorso, al 2,89% rispetto al 4,68% del mese precedente. Secondo il bollettino di palazzo Altieri pubblicato su internet nella serata di giovedì, lo stock - cioè l'ammontare complessivo dei quattrini usciti dai forzieri delle banche - è passato in in mese da 1.724,4 miliardi di euro a 1.726 tondi. Poca roba, dunque. Vuol dire che, all'improvviso, i vertici degli istituti hanno deciso di cambiare rotta sui finanziamenti. Il cambio di passo è netto e i clienti se ne sono accorti da un pezzo. Ne sanno qualcosa, in particolare, gli imprenditori  che non riescono a superare questa fase durissima della crisi finanziaria internazionale e per i quali un po' di liquidità da parte degli istituti rappresenterebbe l'ossigeno per andare avanti. Niente da fare. L'Abi usa toni felpati per commentare la situazione sempre più grave e parla di «lieve rallentamento». Allo sportello, tuttavia, la vita è difficile. E per  i “fortunati” che riescono a ottenere prestiti, fidi o sconfinamenti di conto corrente scattano superinteressi. La media per le imprese è passata dal 3,74% di ottobre al 4,04% di novembre.   Differenze e percentuali apparentemente irrisorie, ma che - spalmate sulle rate e sui piani di ammortamenti dei finanziamenti - si fanno sentire eccome. Certo i dati dell'Associazione presieduta da Giuseppe Mussari (Mps) vanno presi con le molle. Sono arrivati con oltre 20 giorni di ritardo sulla normale tabella di marcia di palazzo Altieri. Un lasso di tempo che ha portato qualche addetto ai lavori a ritenere forse più dura la stretta: il credit crunch sarebbe ben più  ampio. Ci si chiede, frattanto, che fine hanno fato i soldi concessi dalla Banca centrale europea agli istituti del Vecchio continente proprio per cercare di risollevare l'economia reale. Ieri sono continuati a crescere i depositi della Bce. Il che significa che le banche europee preferiscono parcheggiare la liquidità   a Francoforte (ieri record a 455 miliardi) piuttosto che  fare il loro mestiere e “rischiare” prestando denaro. di Francesco De Dominicis twitter@DeDominicisF

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