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Bignardi e Dandini, effeto Cav Senza Silvio La7 fa flop

Le Invasioni barbariche di Daria deludenti, Show must go off di Serena noioso. E i talk non decollano. Crisi della rete liberal

Giulio Bucchi
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Se la luminosa La7, oggi, restringe la propria audience - inchiodata al 3.87% - come una marsina mal lavata o come una rivoluzione abortita, urge un'analisi approfondita. Un'analisi seria, intediamo. Perché sarebbe troppo semplice dire che le interviste barbariche della Bignardi scese al terribile al 3.43% di share sono un format logoro con una conduttrice sfibrata che ha deciso di smettere di crescere: andava male a Raidue, era tra i pochi a non aver beneficiato del traino/Mentana l'anno scorso a La7, perchè riproporla, masochisticamente, con i suoi difetti, invece di provarla su un programma nuovo peraltro preannuciato? E sarebbe banale affermare che la dilatazione dei tempi e il riciclo dei temi spalmati in prime time non giova allo Show must go off (4%, nel preserale 1.10%, con la versione di sabato 28 all'0.80%!); o che si evidenziano forzature di palinsesto nel piazzare due approfondimenti giornalistici -seppur condotti da fior di professionisti come Nuzzi, 3,42% e Formigli, 4,63%- uno dietro all'altro; o che Myrta Merlino è tutto tranne una divulgatrice d'economia per massaie; o che due uomini che conducono un talk non funzionano, esattamente come due donne che parlano di cucina (una è moglie del direttore del tg , affiancata da un cuoco conterraneo dell'amministratore delegato...) perchè alzeranno pure la glicemia e lo scontro ideologico, ma tramortiscono anche lo share (2%). Infine, insomma, sarebbe banalotto affermare che se tu, Camila Raznovich, hai avuto un figlio e ti prude ogni giorno la voglia di raccontare la tua maternità - un argomento non esattamento inedito- ,  mica è necessario farci sopra un programma da 1.6%, informando l'universo mondo di ispirarti «alla blogger Lenor Skenazy su Real Time» anche se Lenor Skenazy la conoscono, forse, i lettori di Io Donna in uno straordinario circuito di autoreferenzialità. Ecco. Per spiegare il crunch d'ascolti de La7, sarebbe troppo semplice ridurre il tutto ad un'analisi tecnica. E quindi non lo faremo del tutto. Il problema, qui, è innanzitutto politico. La7, rete liberal e libertaria è rifiorita con l'avvento del tg di Mentana, in funzione antiberlusconica. L'effettiva normalizzazione dei telegiornali; la riduzione a show, ora scoppiettante ora deprimente, del Parlamento e dello Stato; un abbassamento a livello innaturale della soglia etica; l'avvento delle Minetti e degli Scilipoti: tutto il cotè oscuro del berlusconismo (non tanto di Berlusconi, quanto del microsistema che si è autoalimentato attorno a lui...) aveva legittimato la forza di una “tv contro”. La7 era diventata una prateria intellettuale, in cui le idee potevano circolare liberamente, a volte senza il morso dell'ideologia; Chicco Mentana era il profeta della Nuova Frontiera, in grado di accendere gli ascolti e decuplicare le casse dell'entrata pubblicitaria. Mutatis mutandis, la satira di Crozza stava a Berlusconi come Il Becco Giallo stava al ventennio, o Il Male al dominio democristiano negli anni 70. L'avvento stesso di Paolo Ruffini -il miglior confezionatore di palinsesti che la Rai abbia prodotto nell'ultimo decennio- proseguiva in questo solco: e i “pezzi forti” della sua Raitre l'avevano seguito per ribaltare il concetto stesso di tivù generalista. Bene. Ma nessuno poteva pensare che Silvio mollasse. E che è al suo posto s'insediasse quell'idea di normalità, di sobrietà e di sacrificio che sarà anche necessaria, ma che ha disinnescato ogni intento bellico di una La7 come rete d'opposizione. Per usare una metafora anatomica cara al vecchio premier, si è passati dal priapismo berlusconiano all'orchite montiana. Calo fisiologico di nemico e di consensi. Per inciso, dal punto di vista editoriale, è accaduta la stessa identica cosa al Fatto Quotidiano versione cartacea, mentre la versione online, costruita su inchieste pure va alla grande. Ma se anche il TgLa7 o il celebratissimo GDay perdono colpi, bisogna chiedersi il perchè, e correre ai ripari. In più -sarà un'impressione- ma è come se Ruffini, bravo direttore abituato a comandare nonostante l'apparente claustralità democristiana, sia sottoposto a forti pressioni interne. É come se avesse limiti nella gestione degli artisti, della linea editoriale e del budget. In più, in controluce, svetta sempre più imperiosa l'ombra lunga dell'agente Beppe Caschetto che riesce ad imporre i propri clienti (tra cui molti giornalisti. Un tempo sarebbe stato incredibile) come e più di quanto Lucio Presta riesca a fare alla Rai. E questo è un altro paradosso della rete liberal. Da un lato appoggiare in ogni salsa le liberalizzazioni e suggerire il taglio degli sprechi al governo Monti; dall'altro non riuscire, per sè, a fare nè le une nè gli altri. (Ps che La7 sul web vada fortissimo  è un altro paio di maniche...). di Francesco Specchia

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