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Sobrietà Fli: hotel e ristorante vip Bocchino vanta il low cost

Gianfry nell'albergo 'in' della Versilia. Cena nel locale amato dai magnati russi

Andrea Tempestini
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Perché Italo Bocchino è così. Vorrebbe volare alto, fare lo statista, ma finisce con l'inciampare su stesso piazzando un governo Prodi, anziché Monti, nel bel mezzo del suo intervento d'apertura della convenzione nazionale di Futuro e Libertà, in corso a Pietrasanta. E se tutti prendono la cosa per una innocente gaffe, come la “mission” di Gianfranco Fini pronunciata come se fosse una piadina e non un termine inglese, Italo ci resta male e si vede. In fondo per uno che guida un partito che sta passando dallo stato embrionale alla forma infantile è quasi accettabile.  Innocenti evasioni, insomma. Come quella che si concede Fini al termine del suo intervento. Scende dal palco, ad accoglierlo gli occhi dolci di Elisabetta Tulliani, jeans, giacca nera, camicetta blu con vistoso braccialetto d'oro, o simil tale, e dalla tasca spunta una sigaretta. Chi mi fa accendere? Rita Marino è sprovvista dell'attrezzo, l'uomo della scorta no. Evvai con la cicca, in prima fila dentro al teatro. L'operatore del Tg1 riprende la scena e Fini chiede la grazia. Accordata, la telecamera si spegne, ma non si ferma la penna del cronista. Che vuoi farci è un vizio… izio al quale il leader di Fli non rinuncia nemmeno più tardi, anche se, questa volta, raggiunge l'uscita di sicurezza, mentre Flavia Perina, abbronzata come nemmeno capita d'agosto, preferisce chiedere accoglienza in sala stampa. Cacciata senza replica. E di vizi, gli uomini di Fli, ne hanno parecchi. Benedetto Della Vedova, per esempio, non rinuncia alla battuta salace quando Fini arriva davanti al teatro e non riesce a superare la folla. “Non lo fanno entrare, il teatro è troppo pieno”. E sì come no. L'effetto è che Bocchino annuncia l'arrivo del capo e gli uomini della sicurezza gli dicono di prendere tempo. E mo' che faccio? Pausa, stacco musicale, poi arriva il capo. Era ora. Ed è ora che Fli faccia chiarezza sui propri gusti musicali. Bruce Springsteen al mattino, disco dance prima di Fini, che fa inorridire Fabio Granata che chiede gli U2, sparati dopo l'intervento del capo. Va bene che il terzo polo dovrà diventare un'orchestra, ma qui si esagera, al punto da aver allestito un palco che sembra quello di una rock band. Chi parla al mattino lo fa da una pedana tonda, senza leggio. Solo al capo è concesso il lusso del piano di appoggio per gli appunti. Esagerati. E si esagera anche quando la troupe del Tg1 non riesce a entrare nel teatro. «Ma come», urla disperato l'addetto stampa di Fli, «fatela passare di lato». E come no. troppo semplice per un uomo solo. A Pietrasanta, però, rispetto a Mirabello, manca del tutto l'oggettistica. Niente gadget e spillette, solo un timido banchetto del Futurista fa bella mostra di se all'ingresso del teatro. «La nostra è una politica low cost», dice Bocchino, «ognuno di noi si è pagato l'albergo, il viaggio, il ristorante». Ecco, appunto: si vede. Ma questa convenzione, l'italianità, la tradizione si difendono anche così, offre una lettura diversa del movimento di Fini, a corto di veri slogan, ma ricchi di cuore. Come capisce al volo Roberto Menia che, nel suo intervento della mattina, vola alto citando Pound e la sostenitrice anima, difendendo la famiglia tradizionale e le ragioni di Carducci. La politica low cost è anche questo. O, forse, è proprio per questo che le strade di Fli e quelle del Pdl «non si incroceranno più», dice Fini dal palco, incassando il vero, se non l'unico applauso della platea. Che nei sui 90 minuti d'intervento viene interrotto appena sei volte, a fronte di 72 pseudo applausi. Nel senso che più di una volta a battere le mani è il solo capoclacque. Se per un atto di amore nei confronti dell'Italia Fini ha fatto terminare il berlusconismo, per un atto di amore qualcuno dica a Fini e Bocchino che certe gaffe non sono low cost, ma particolarmente costose. Solo che uno se ne accorge sempre dopo, magari quando è troppo tardi. di Enrico Paoli

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