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Vescovi cattocomunisti: "No Cgil sola". E la Cisl si accoda

La Cei: "Sbagliato lasciare la Camusso fuori dalle trattative. Il lavoratore non è una merce". E Tonino Di Pietro: "Questa riforma è una bestemmia"

Andrea Tempestini
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Nell'aspro dibattito sulla riforma del lavoro si registra anche l'intervento a gamba tesa della Cei, la conferenza episcopale italiana. "Il lavoratore non è una merce": così monsignor Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso-Bojano e presidente della Commissione lavoro, giustizia e pace della Cei. "Bisogna chiedersi - ha proseguito - se il lavoratore è persona o merce. E' la grande istanza dell'enciclica sociale Rerum Novarum". Secondo Bregantini il lavoratore "non lo si può trattare come un prodotto da dismettere, da eliminare per motivi di bilancio, perché resta invenduto in magazzino. Leone XIII lo scrisse nella pietra miliare del cattolicesimo sociale, emanata nel 1891, più di un secolo fa". Quindi la Cei entra nel dettaglio dei provvedimenti: "La tematica di fondo dell'articolo 18 - aggiunge il monsignore - dovrebbe coprire tutti i lavoratori, non solo quelli con più di 15 dipendenti, già garantiti. Va estesa come valori di dignità e difesa come normativa". Sbagliato lasciare fuori la Cgil" - Nell'intervista concessa a Famiglia Cristiana, Bregantini sposa le istanze di Susanna Camusso e ne prende le difese. Tra i "rilievi critici" alla riforma, il monsignore in prima posizione mette "il dispiacere che provo nel vedere la Cgil lasciata fuori da questa riforma. Un fatto che viene quasi dato come scontato, quasi che il primo sindacato italiano per numero di iscritti non sia una cosa preziosa per una riforma del lavoro. Dietro questa fetta di sindacato - aggiunge - c'è tutto un mondo importante, cruciale, da coinvolgere per camminare verso il futuro. Altrimenti c'è il rischio che questa parte sociale, con i suoi milioni di iscritti, resti disillusa, arrabbiata, ripiegata su   atteggiamenti difensivi, su un passato che non c'è più. Lasciare fuori la Cgil sarebbe una perdita di speranza notevole, un grave errore”. Il secondo "rilievo critico", invece, è che "ci voleva un po' più di tempo per mettere in atto una riforma così importante". Sul precariato - Il monsignore prosegue: "Ma più in generale, come sollecita il Capo dello Stato riflettendo sulla riforma decisa dal governo nel suo complesso mi chiedo: diminuirà o aumenterà il precariato dei nostri ragazzi? Riusciremo ad attrarre capitali ed investimenti dall'estero solo perché è più facile licenziare? Sarà snellita la burocrazia? Daremo con questa riforma più vigore all'esperienza imprenditoriale? Ma non vorremmo nemmeno che la cosa fosse schiacciata su questi temi, perché ripeto, al centro di tutto ci deve essere la dignità dell'uomo e della famiglia”. Infine monsignor Bregantini snocciola anche qualche valutazione positiva sulla riforma: "Siamo contenti che i licenziamenti discriminatori vengano contemplati per tutti, anche nelle aziende con meno di 15 dipendenti. Questo è un discorso molto positivo. Anche la triplice distinzione dei licenziamenti in   discriminatori, economici e disciplinari è molto saggia”. Idv-Cei, il nuovo fronte - Le parole di monsignor Bregantini sono un assist troppo ghiotto per l'Idv, che aveva promesso in mattinata un "Vietnam parlamentare" contro la riforma del lavoro. E così, a sancire un asse inedito, quello tra la chiesa e i dipietristi, ci ha pensato il portavoce dell'Idv, Leoluca Orlando: "Il governo ascolti il richiamo della Cei e dell'intero Paese. Il tema della trasformazione dei diritti dei lavoratori in diritto commerciale, la considerazione dei lavoratori alla stregua di una merce e non come soggetti di diritti costituzionalmente garantiti costituiscono un grave errore politico, una violazione della Costituzione e un attacco ai più elementari principi epici". Pochi minuti prima dell'intervento di Bregantini, neanche a farlo apposta, Antonio Di Pietro, leader dell'Idv, aveva sbottato: "Introdurre i licenziamenti facili è una bestemmia".

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