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Monti blinda la riforma: "Lavoro, non si cambia"

Premier a Cernobbio: "Testo non è suscettibile di incursioni". Poi il prof dà botte a partiti, Cav, sindacato ("Ascoltato troppo in passato") e Maroni

Giulio Bucchi
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Mario Monti sale in cattedra al Forum di Confcommercio a Cernobbio e ritrova la baldanza persa nelle ultime settimane di dure trattative sulla riforma del lavoro. Per un giorno il premier si riscopre professore bocconiano e prova a impartire lezioni a tutti: invita la platea all'applauso quando discetta di crisi, bacchetta Maroni scolaro in disaccordo, se la prende con i suoi predecessori e, in una parola, si autopromuove. Sulla questione bollente, la riforma e l'articolo 18, poche ma nette parole: "Grazie al ministro del Welfare Elsa Fornero per il coraggio e la determinazione. Il testo (che ora approderà in parlamento, ndr) "non è suscettibile di incursioni". "Nessuno si illuda - ha continuato - che forze importanti, che sono state consultate, ma esterne al governo, possano intervenire per modificare i contenuti della riforma". Messaggio chiaro a Confindustria, ai partiti (che dal Pdl al Pd hanno già cercato di mettere pressione all'esecutivo) ma soprattutto ai sindacati. Messaggio alla Camusso - "In passato sono state ascoltate troppo le categorie", ha spiegato Monti, sottolineando come la politica dovesse cercare consenso a tutti i costi. Quel tempo è finito, anche perché, questo l'esordio ad effetto del premier, "io sono stato chiamato per rimediare ai mali fatti nei decenni". Sulla minaccia di sciopero di Susanna Camusso, il premier è caustico: "Fa parte della fisiologia normale dei rapporti sociali della vita in un Paese democratico. Non lo ha revocato, non mi aspetto che ci sia una revoca e mi dispiace". Il punto, però, è semplice: le parti sociali "non sono più provviste di un cedolino con il diritto di veto". Messaggio ai predecessori - Ma a Cernobbio si parla anche e soprattutto di crisi. "Teniamo basse le aspettative - ha spiegato Monti -. Il Paese non è in una situazione brillante in cui si possano fare o ascoltare credibilmente delle promesse". Ecco perché "non prometto a nessuno crescita nel 2012, ma avremo meno recessione. Stiamo cercando, e ora avremo più respiro, di fare politiche per la crescita e per l'occupazione". L'emergenza però resta, anche perché "la crisi italiana è stata costruita in decenni, non si risolve in 5 mesi". E qui la stoccata ai suoi predecessori e soprattutto a Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti, colpevoli di aver "aspettato troppo" a prendere atto dei gravi segnali di flessione dell'economia italiana, specie negli ultimi 12 mesi. Insomma, SuperMario non poteva fare molto, se non forzare un po' la mano. E aumentare le tasse: "Non potevamo fare diversamente". Questo perché, ribadisce il premier, "il Paese ha preso coscienza con colpevole tardività dei propri ritardi". E oggi è "ancora più difficile rimettere l'Italia sulla strada giusta". Messaggio a Maroni - Nell'oretta scarsa in cattedra, il passaggio più piccante è quello in cui Monti ha pizzicato direttamente Roberto Maroni. Il leghista, ha rivelato il premier, era stato perso in considerazione per la carica di ministro dell'Interno dell'esecutivo nel caso in cui attorno a sé avesse concentrato una "ancora più ampia convergenza politica" di quella che si è registrata. "Ho grande stima e simpatia personale" per l'onorevole Maroni, ha detto Monti, che poi è partito alle stilettate. Prima, quelel geo-politiche: "Di Maroni mi considero tuttora, malgrado tutto, conterraneo", ha scherzato sulle comuni origini varesine. con punta polemica verso i radicalismi padani. Purtroppo, aggiunge poi il prof, "mentre altri esponenti di governo hanno avuto dei ripensamenti su ciò che non ha funzionato, da  parte di Roberto Maroni non c'è stato nulla di tutto questo". Ragion per cui "non condivido quasi niente del Maroni storico e del Maroni astorico". E sui ministeri aperti a Monza per volontà della Lega, Monti è sarcastico: "Abbiamo chiuso quegli strani dipartimenti. Purtroppo crediamo con questo di avere fatto opera squisitamente meritoria sul piano del consenso e della osservanza della Costituzione, ma dal beneficio economico molto modesto".

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