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Michelle re Mida della moda Indossa griffe, vendite record

La first lady americana ha usato 29 vestiti in 189 apparizioni. E le società che li hanno prodotti hanno moltiplicato gli incassi

Nicoletta Orlandi Posti
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Quando si mette un vestito moltiplica il valore delle azioni della società che l'ha prodotto: Michelle Obama è una Regina Mida della moda, dice una ricerca universitaria («The Michelle Markup: The First Lady's impact on stock prices of fashion companies»). L'autore David Yermack, professore alla Stern School of Business della New York University, ha scoperto che le società di abiti indossati da Michelle sono cresciuti dell'1,7% nella settimana successiva alle apparizioni. Nel 2009, la ricerca, pubblicata sulla Rivista di Business di Harvard e basata su 189 «sfilate» (245 vestiti, scarpe o accessori di 29 società) ha quantificato in 2,7 miliardi di dollari i guadagni degli azionisti fortunati, o astutissimi nel cogliere la “sponsorizzazione” al volo e comprare subito le azioni. In particolare, quando la First Lady nominò nel 2008 le sue scarpe J.Crew nel popolare show di Jay Leno, Yermack ha ricordato che «l'effetto sulla quotazione della  J. Crew Group Inc fu elettrico: balzò dell'8% il giorno dopo e del 25% entro fine mese». Come Carla Bruni - Interpretando benevolmente Michelle, Yermack ha spiegato che le sue decisioni di moda sono uno sforzo per chiudere il gap tra le donne di alto rango sociale e il resto dell'America. «L'influenza sul mercato della First lady ha sorpreso tutti. Le sue selezioni possono creare un valore che eccede i 100 milioni per le compagnie che fanno il design e commercializzano poi i suoi vestiti. L'effetto è stato di circa 2,3 miliardi durante il viaggio in Europa che fu definito un “duello di moda” con la First Lady Carla Bruni. Invece, le aziende che Michelle non sceglie hanno prezzi calanti. L'impatto netto nel settore significa una redistribuzione di valore tra le sigle», ha scritto Yermack. Tra le società “benedette” da Michelle ci sono nomi più o meno famosi del calibro di Aeffe, Cie, Dsw, Gap, J.Crew, Kohl's, Liz Claiborne, Lvmh, Nike, Ppr, Saks, Target e Urban Outfitters. Ma c'è chi fallisce - Se gli Obama hanno il tocco magico a Wall Street (a proposito, come prenderanno gli Occupy Wall Street il ruolo di supporter alle corporation dei loro idoli politici?) per avere un giudizio più bilanciato sul fiuto modaiolo della coppia siamo andati a vedere che cosa è successo agli stilisti artigianali scelti da Michelle e Barack al di là dei marchi quotati. Kai Milla, moglie di Stevie Wonder, è fallita, dopo aver fornito l'abito verde di seta che Michelle portò nel febbraio 2009 a una serata di gala. «La sua società ha avuto per mesi molti creditori che l'hanno inseguita per essere pagati per il tempo, i servizi e il materiale fornito: agenzie di modelle, case di produzione, assistenti al design e proprietari che le avevano affittato negozi e uffici», ha scritto la pagina di gossip del popolare New York Post, giornale che non leggono alla Nyu o ad Harvard. Prima di Milla, era fallita pure la favorita designer di Michelle, Maria Pinto. Il Chicago Sun-Times ha riferito che la stilista, cara alla crema sociale di Chicago dove spiccavano gli Obamas, ha cessato le operazioni nel 2009 dopo quasi due decenni di attività: Michelle, e la amica e consigliera di Obama Valerie Jarrett, avevano suoi abiti alle apparizioni pubbliche in appoggio alla candidatura olimpica (fallita pure quella) di Chicago. Barack è stato anche più fulminante come portasfortuna al proprio marchio preferito. Una settimana dopo il giuramento, gennaio 2009, la ditta che aveva confezionato lo smoking per la cerimonia, Hartmarx, ha portato i libri in tribunale per bancarotta. Perché, si deve essere chiesto Yermack che non ne ha fatto cenno, imbrattare di fatti spiacevoli una bella positiva ricerca sulla famiglia Mida alla Casa Bianca?  

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