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Ecco perché il Senatùr non si fida: tutti i no per frenare Bobo

Futuro Lega: il Senatùr preferisce Zaia a Maroni. Ma potrebbe saltare fuori anche il nome di Tosi, molto legato all'ex ministro

Matteo Legnani
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Orgoglio leghista, 24 ore dopo. Roberto Maroni ha il pallino ma Umberto Bossi non molla. Il Senatur vede la sua creatura sfuggirgli di mano, ma in quel di Bergamo ha tenuto botta. Era emozionato, il vecchio capo. Ha sofferto sentendo gli ululati di disapprovazione che la base (in larghissima parte maroniana dura e pura) ha scaricato contro il Trota. Però, mentre Bobo ha escluso complotti anti-Carroccio, il fondatore ha detto il contrario. L'ex ministro dell'Interno se l'è presa con Rosi Mauro? Umberto non l'ha citata. Il tutto nonostante la vicepresidente del Senato, l'altro pomeriggio, avesse sbattuto in faccia  a Bossi non uno ma due no. No alle dimissioni. No alla richiesta di disertare Porta a Porta. Maroni segna punti a favore ma non ha ancora sferrato il colpo decisivo. È da gennaio che fa passi in avanti. Prima ha polverizzato la fatwa annunciata da via Bellerio, grazie alla mobilitazione dei militanti che l'hanno invitato in ogni dove in polemica col Senatur che voleva impedirgli i comizi. Poi ha ottenuto la testa del rivale Marco Reguzzoni, che non è più capogruppo alla Camera. E ancora. Le dimissioni di Maurilio Canton dalla segreteria provinciale di Varese. Il comizio in quel di Bergamo come unico protagonista insieme a Bossi. Il congresso federale anticipato. Non più a ottobre, ma a giugno-luglio. Infine, la testa di Francesco Belsito e – salvo sorprese – pure quella della Mauro. Però la strada che separa Bobo dalla segreteria federale non è in discesa come sembra. Il Senatur non offre spiragli. Ripete: «Sceglierà la base». Non c'è solo il vecchio leader a rendere la strada accidentata. In pochi mesi la Lega è cambiata di botto. Da movimento “monocratico” è diventata ricca di correnti. Per usare la metafora di un colonnello, non è più il palco a dettare la linea all'assemblea dei militanti ma il contrario. Lo scontro non è solo tra maroniani e cerchisti. Ci sono i veneti che chiedono spazi e soffrono il potere dei lombardi. Colonnelli come Calderoli o Cota che vogliono un posto al sole. Le nuove leve che spingono. Il futuro capo non avrà carta bianca. Sarà costretto a mediare. E un maroniano di rango conferma: «Lo statuto del movimento è scritto su misura per Bossi. Se il futuro leader non sarà più lui, dovrà essere modificato per aumentare la collegialità». Anche perché, notano alcuni dirigenti, Maroni ha ampio seguito nella base ma non la controlla al 100%. Ci sarà sempre una fetta di “dissidenti” da gestire. Al congresso federale, il fondatore non esclude si ripresenterà. Maroni gli ha già giurato: se ti candidi ti voto. E così sottolinea di non essere il «traditore» dipinto dal cerchio magico. Anche se – notano alcuni – s'è infilato in un corridoio strettissimo. La spinta dei suoi barbari sognanti, più maroniani dello stesso Maroni, gli impedisce di tirare indietro la gamba. Bobo, eccellente ministro, dovrebbe cimentarsi in un terreno totalmente nuovo come quello di capopopolo. E se tra i due litiganti Bossi e Maroni spuntasse un terzo incomodo? Umberto e Zaia non si sentono da più di un mese, ma agli occhi del Senatur il governatore sarebbe l'ideale. Non lascerebbe il partito a Bobo (che la famiglia Bossi descrive come il male assoluto) e accontenterebbe il Nordest che soffre lo strapotere di Varese e dintorni. Eviterebbe la scissione dei veneti. Però Zaia, piuttosto che diventare capo, si sparerebbe. Il tutto mentre nella sua regione il maroniano Flavio Tosi scalpita. Sogna di riconquistare Verona e di diventare timoniere della Liga Veneta scalzando il cerchista Gianpaolo Gobbo. I numeri sono dalla sua, anche perché raccoglie i frutti di una popolarità galoppante favorita pure dalla sponsorizzazione di Maroni. Ecco, Tosi – a differenza di Zaia – ci penserebbe due volte prima di rifiutare il comando del Carroccio. Al momento è fantapolitica, ma il sindaco in via Bellerio scatenerebbe malumori, a partire da Calderoli che con Tosi ha un'antipatia personale. Lo scenario è in evoluzione. Bossi, ieri, non aveva voglia di commentare la serata dell'Orgoglio leghista. A tutti ripeteva: «Dobbiamo stare uniti». Il vecchio capo non molla. E se al congresso si ripresenterà? «Il futuro riposa sulle ginocchia di Giove» dicono i maroniani. di Matteo Pandini  

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