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Addio a Cesare De Michelis, l'editore che scoprì il Nord-Est

Francesco Specchia
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Al professor Cesare De Michelis, decano inarrivabile degli editori italiani, gli epicedi sapevano di fiandra medievale, gli facevano girare le balle. Sicchè per l' amico Cesare, presidente della casa editrice Marsilio - veneziano, classe '43, storico di pregio, bibliomane invincibile, vene sature d' inchiostro e d' epica della Serenissima- eviterò commozioni ed elogi funebre e mi atterrò strettamente ai fatti. Era un genio sussurrato. De Michelis era un mix fra Leo Longanesi, l' editore delle grandi intuizioni e Cesarino Branduani, il bibliofilo che concepiva la scelta del libro come merce-idea affinata da anni di sensibilità ed esperienza. Nei suoi scaffali lunghi mezzo chilometro (quasi 70mila volumi) si posava lo scibile: secoli di storia, narrativa e militanza intellettuale, specie legata alla rivoluzione culturale del nord est. Il libro, per lui, non era solo l' oggetto perfetto, ma una forma di sana ossessione. Scriveva: «La biblioteca di una persona si forma nel tempo a specchio di chi la raccoglie; dapprima lentamente, un volume per volta, scelto, letto e spesso almeno un po' amato; quindi più in fretta, mentre il desiderio si accende a qualsiasi offerta e la collezione cresce sempre più smisurata, invadendo ogni spazio e al tempo stesso smarrendo ogni ordine». L' ordine e il rigore Cesare li preservava, invece, nel suo lavoro manageriale e di scouting. Che l' aveva portato, negli ultimi anni, a cedere al figlio Luca le redini di un' azienza oggi saggiamente internazionalizzata: «Luca ha la vocazione, ha girato il mondo ed è tornato in casa editrice a 40 anni. Noi De Michelis siamo più della Comunità di Olivetti. Gli elementi essenziali sono due. Il primo è che, per me, la famiglia è una cosa seria. Il secondo è che anche le case editrici che hanno dietro multinazionali come Penguin o Amazon, funzionano se mantieni l' amore nella scelta dei titoli, nella cura delle bozze, nel rapporto con gli autori che non deve cambiare con gli anni. Non c' è nessuna differenza tra noi e Aldo Manuzio». Come Manuzio - Figlio di genitori protestanti in una regione, il Veneto, cattolicissima nonché fratello di Gianni, noto ex ministro socialista, De Michelis aveva fondato la Marsilio Editori nel '61 -di cui possedeva inizialmente l' 1%- con un gruppo di colleghi studenti universitari (tra cui Negri, Ceccarelli, Tinazzi) e l' aveva scalata fino ad acquisirne la maggioranza. Un percorso culturale che, con gli anni, aveva trasformato questo docente di letteratura moderna e contemporanea a Padova da incendiario politico a sognatore disilluso. Nella sua Venezia, tra le fila del Psi era stato consigliere comunale e vicepresidente della Biennale, e consigliere del teatro La Fenice. Aveva scritto libri sul conformismo degli intellettuali, sul neorealismo (da appassionato di cinema), sui grandi autori dell' Ottocento. A sentirlo parlare ti saliva sempre una puntina di soggezione, che lui smorzava spesso con un «ma và in mona...» liberatorio per l' interlocutore. Lo affaticava parlare di politica, soprattutto se gli ricordavi la militanza. «Militante? Io non sono militante. Eppoi, militanza... Qui, oggi non la cerchi e non c' è più neppure la milizia. Ci sono le guerre e la gente non le vede. E l' deologia è davvero sparita. Tu credi davvero che ci sia differenza tra Renzi o Salvini? E anche se ce ne fosse, credi che importi ai veri padroni? Credi che le multinazionali chiedano loro permesso?», mi disse una volta, un po' irritato, constatando che l' editoria non avesse più certezze. Tantomeno le certezze dei Premi letterari e dei Saloni: «Dei Saloni non m' importa un fico secco. Io farei un Salone anche a Bologna, a Bari. Sono per quest' assurdo federalismo all' italiana; anzi, mettiamo una Fiera del libro in ogni provincia, visto che le Province le abbiamo abolite. Nessuno ha mai venduto un libro in più ai Saloni, ci si va per ciacolare, rivedersi con gli amici». Ricordo, da studente, i suoi elzeviri su L' Arena di Verona: erano sciabolate da ussaro al sistema. Cesare fingeva di rifugiarsi nel passato per poter criticare il presente. Ma portava lo sguardo sempre oltre il futuro. Era un classicista invincibile; ad ogni Natale, animato dallo spirito dello stampatore Aldo Manuzio appunto, regalava agli amici, la stampa privata di un saggio sulle tipografie, o sulle fake news nelle Venezia del '700, o sulla figura dell' editore illuminista. Eppure il progresso l' affascinava: studiava il print on demand, l' ebook, la vendita in Internet. Aveva, inoltre, aveva lanciato scrittrici come Margaret Mazzantini (vincitrice del Campiello con Il catino di zinco) Susanna Tamaro, Chiara Gamberale. Aveva inaugurato la moda del giallo scandinavo con la saga Millennium, di Stieg Larsson, cogliendo uno straordinario successo di vendite. L'eredità al figlio -  Portata la Marsilio in borsa nel 2000 Cesare conscio che «piccoli sono solo i bambini, ma se i bimbi non crescono vuol dire che sono malati», entrò nel grande gruppo editoriale Rizzoli-Rcs. Dopo la cessione di Rcs alla Mondadori, De Michelis riacquistò le quote della sua casa editrice e, nel 2017, ne lasciò parte a Feltrinelli. Oggi Marsilio è guidata dal figlio Luca, amministratore delegato, ottimo nocchiere. Rimangono, del grande veneto, l' insegnamento e la visione. E i libri di cui «non sperate di potervi mai liberare». Ciao, prof... di Francesco Specchia

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