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Maroni mai citato dai giudici, eppure la sinistra chiede subito la sua testa

Nicoletta Orlandi Posti
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L'ennesima giornata nera della politica lombarda ha un che di grottesco se osservata attraverso il comportamento delle opposizioni. Saputo dell'arresto di Mantovani, Partito Democratico, grillini e civici di Ambrosoli non hanno perso un minuto nel chiedere le dimissioni di Roberto Maroni, infangandone il lavoro fatto fin qui e invocando un election day per la prossima primavera che accorpi le comunali di Milano e le regionali lombarde. Una posizione difficile da comprendere (anche politicamente), specchio del pressapochismo col quale in questi anni i suddetti hanno condotto il ruolo d'opposizione in Regione. Sempre pronti ad urlare allo scandalo, ma lesti ad alzarsi dai tavoli delle trattative, adducendo scuse quanto mai discutibili. Un atteggiamento che si è riscontrato in questi due anni su tutte (o quasi) le partite importanti trattate al Pirellone. Dal referendum per l'autonomia alla riforma sanitaria, passando per la riforma del turismo. Diciamo così perché al netto delle accuse della magistratura e dei chiarimenti che forniranno gli indagati, nelle carte dell'indagine nulla viene imputato al presidente Maroni, ma soprattutto si evince che solo in minima parte le contestazioni addebitate a Mantovani riguardano il suo ruolo di vice presidente della Regione. Per questo si fatica a comprendere l'affanno giustizialista col quale, soprattutto il Pd, si è affrettato a scagliarsi contro chi non è stato nemmeno sfiorato da quest'inchiesta. E se la sceneggiata grillina con le arance sotto il Pirellone è tipica del loro modo di fare politica, stupisce il poco garantismo del Pd, sempre lesto a difendere i suoi esponenti quando incappano in problemi giudiziari, quanto a scagliarsi contro gli avversari politici. Davvero uno spettacolo triste da vedere e commentare. di Fabio Rubini

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