Foto, rilievi e reperti: "La mia Milano nera da via Palestro alle Br"
Lascia dopo 35 anni il commissario della Scientifica Nunzio Buemi:"Le Br mi pedinavano, ho rischiato di morire per la bomba al Pac"
Adesso restano solo uno scatolone e qualche foto alle pareti, ma per 35 anni nell'ufficio del sostituto commissario Nunzio Buemi al quarto piano della questura è passata la storia della Milano più nera: dalle Brigate Rosse al bandito Angelo Epaminonda, e poi la stagione dei sequestri, l'incidente al Pirellone, la strage di via Palestro, l'incontro con Falcone e la deposizione allo storico processo «Pizza Connection» a New York. Una vita nella Scientifica, a raccogliere elementi, catalogare, a prender freddo negli appostamenti infiniti con attrezzature che a vederle ora fanno sorridere. «Oggi è il mio ultimo giorno, vado in pensione. Ho fatto l'ultimo sopralluogo la notte di Capodanno, per il bambino a cui è scoppiato un botto tra le mani». Il primo? «A Catania, nel '76. Un commerciante si tolse la vita nel suo negozio; non ho mai saputo il motivo». Cadaveri? «Ho perso il conto. Per non impazzire bisogna mantenere la giusta distanza emotiva». Ci è sempre riuscito? «Direi di sì, solo una volta ho rifiutato di assistere a un'autopsia, perché era di un mio amico e collega ucciso dalle Br». Buemi, Cavaliere emerito della Repubblica, è nato a Novara di Sicilia (Me) nel 1954. È arrivato a Milano il 9 gennaio del '79 («ci fu una nevicata straordinaria») dopo aver trascorso alcuni anni a Catania («quanti morti di mafia») ed essersi formato a Roma. «Il 22 gennaio c'è stato il colpo al ristorante Transatlantico. Avrebbero dovuto rapinare il gioielliere Pierluigi Torregiani ma le cose andarono storte e morirono un bandito e un avventore. Il 16 febbraio fu ammazzato anche lui nel suo negozio dai Proletari Armati per il Comunismo. Una vendetta per essersi opposto all'esproprio proletario». Anni difficili, quelli. «Il 19 marzo 1980, mentre facevo i rilievi sull'omicidio Galli, mi fotografarono e la mia faccia uscì su un giornale. Fui costretto a tagliarmi la barba. Eravamo obiettivi. Lo scoprimmo entrando in un covo delle Br in zona Lorenteggio: oltre alle carte per la liberazione del generale Dozier, c'erano le foto di un mio collega, di una nostra auto, e il piano per far saltare una pasticceria in piazzale Dateo che io e molti altri poliziotti frequentavamo. L'anno prima andai al funerale di un terrorista per fare delle foto: fui accerchiato da suoi compagni che volevano i rullini. Avevo una pistola col colpo in canna: non la mostrai, mi finsi giornalista». Nel 1985 incontra Falcone e vola a New York come teste per il processo che costò al superboss Gaetano Badalameni 45 anni di carcere. «Testimoniai per ultimo, prima di me fu ascoltato Buscetta, il boss dei due mondi. Conobbi anche Rudolph Giuliani, allora procuratore». Pochi anni dopo gli eroi dell'antimafia cadono sotto i colpi di Cosa nostra, poi si passa alle bombe. «Il 27 luglio 1993, via Palestro, e chi se lo scorda - guarda due foto scattate quella notte - io e un collega abbiamo rischiato di essere travolti dalla seconda esplosione, quella al Pac. È la prima volta che ne parlo». Approfittiamo, ci dica di Raul Gardini. «Ho fatto il sopralluogo, ho visto la traiettoria del proiettile, e nonostante le ipotesi di qualcuno, per me è un suicidio». E l'omicidio che l'ha segnata? «6 febbraio 1980: Antonio Brambilla si presenta negli uffici della Purina Italia in via Santa Sofia e spara a Gianmatteo Ferrari perché convinto che sia l'amante della sua fidanzata, Rita Furiato. Sequestra la donna e la tiene sotto tiro. Dopo ore infinite, sentiamo altri spari e scopriamo che ha ucciso la Furiato e poi si è tolto la vita». Ci sorprende, pensavamo a grandi nomi della mala. «Il lavoro è fatto anche di cose che non finiscono nei libri di storia. I suicidi, per esempio. Vi rivelo una cosa: quando le donne si lanciano dalla finestra si tolgono sempre le pantofole. Chissà perché». di Salvatore Garzillo